Chi ha subito un’amputazione transradiale necessita di una protesi ad hoc. Con l’avvento della tecnologia 3D, che consente di progettare oggetti e di stamparli con la tecnolgia additiva, le opzioni per la produzione di protesi transradiali sono aumentate e soprattutto sono cambiati i tempi, riducendosi rispetto a quelli richiesti dal metodo tradizionale.
Ciò può avere risvolti positivi anche su un altro fronte. È stato osservato che circa il 52% degli amputati abbandona la protesi e preferisce stare senza. Una delle motivazioni può essere proprio il tempo eccessivamente lungo che passa tra amputazione e inizio della riabilitazione con la protesi. La letteratura parla del periodo d’oro: quattro settimane durante le quali il braccio amputato e il cervello del paziente sono particolarmente propensi ad acquisire nuove abitudini e schemi motori. Passato questo tempo, tutto diventa più difficile: il paziente si abitua a stare senza braccio, mette in atto strategie compensative e non sempre è disposto a rimettersi in gioco e ad accettare la protesi.
Si è visto, invece, che un paziente che riceve la protesi subito dopo l’amputazione ha il braccio amputato più forte e in grado di effettuare movimenti più ampi.
Bisogna dimostrare che la stampa 3D può ridurre questo gap e favorire il tasso di utilizzo delle protesi transradiali.
Un team statunitense di Omaha ha proposto un caso studio incentrato proprio sul confronto tra uso e accettazione di una protesi stampata in 3D e di una tradizionale: l’ipotesi è che non vi siano differenze tra le due protesi in fatto di funzionalità e accettazione.
A essere coinvolto è stato un uomo di 59 anni sottoposto a una serie di test prima con la protesi tradizionale e poi con quella stampata in 3D.
Tra i test effettuati, il Box and Block Test e il Bimanual Coordination Tray.
Dal punto di vista funzionale lo studio evidenzia esiti migliori con l’uso della protesi da stampa 3D, ma il paziente ha detto di preferire la protesi standard.
Nel dettaglio, il soggetto ha detto che la protesi da stampa 3D è più piccola e leggera di quella tradizionale, e consente di vestirsi e svestirsi più facilmente. Inoltre, è esteticamente più gradevole. La protesi tradizionale si è però dimostrata più efficace nelle attività che necessitano di muovere le dita individualmente o afferrare oggetti. Ciò ha portato il paziente a preferire la protesi tradizionale, nonostante la consapevolezza che sia meno durevole nel tempo rispetto alla protesi in 3D. È chiaro che un singolo individuo non è sufficiente come base per un’evidenza: occorrono studi più ampi. Gli autori sono convinti che gli aspetti positivi della protesi stampata in 3D consentono di considerarla come un’opzione: forse occorre lavorare anche sulla progettazione, per rendere il movimento delle dita più efficace.
Lo studio ha visto la collaborazione dell’Università del Nebraska con il centro Innovative Prosthetics & Orthotics.
(Lo studio: Copeland C, Reyes CC, Peck JL, Srivastava R, Zuniga JM. Functional performance and patient satisfaction comparison between a 3D printed and a standard transradial prosthesis: a case report. Biomed Eng Online. 2022 Jan 29;21(1):7. doi: 10.1186/s12938-022-00977-w. PMID: 35090466; PMCID: PMC8800314)
Stefania Somaré