Una chirurgia ad alta complessità che richiede la compartecipazione simultanea dell’ortopedico con expertise in traumatologia e del chirurgo plastico lungo tutto il percorso di presa in carico del paziente con frattura esposta, dal primo accesso in Pronto Soccorso alla sala operatoria, fino al follow-up.
Parliamo di ortoplastica, una specialità che in Italia è praticata ancora in pochi centri d’eccellenza, fra cui l’ASUGI-Clinica Ortopedica Traumatologica di Trieste, Ospedale di Cattinara, che è un riferimento per questa specialità sul territorio nazionale.
Il nome è esplicativo della convergenza di due specifiche e distinte expertise (l’ortopedia traumatologica e la plastica ricostruttiva) in un’unica disciplina di alta specialità.
«L’ortoplastica», spiega Luigi Murena, professore ordinario di Malattie dell’Apparato Locomotore presso l’Università degli Studi di Trieste e direttore del Dipartimento di Ortopedia e Medicina Riabilitativa, «applica in maniera simultanea e condivisa tecniche di entrambe le discipline, finalizzate alla risoluzione di problematiche ad alta complessità che interessano lo scheletro e l’apparato locomotore in genere.
A seconda della scuola di pensiero, l’intervento di ortoplastica può essere condotto da due équipe diverse, ciascuna con specifica competenza in uno dei due ambiti che lavorano simultaneamente, o da un singolo chirurgo con doppia expertise.
Quindi in funzione degli interessi e degli ambiti di applicazione, l’ortoplastica può trovare indicazione in una serie di patologie e di contesti clinici, quelli che trovano maggiore e migliore indicazione in termini di beneficio clinico e di risultati, riguardano l’oncologia e la traumatologia delle fratture esposte.
A questi si aggiungono anche il trattamento delle infezioni, delle osteomieliti croniche o degli esiti settici della protesi articolare, per esempio del ginocchio e/o della caviglia, dove la collaborazione del chirurgo ortopedico e plastico porta a risultati finali migliori».
Le fratture esposte rappresentano un laboratorio in cui ortopedico e plastico fanno costituiscono un sistema di lavoro perfettamente affiatato per rispondere con efficienza ed efficacia alle necessità di trattamento sia nell’urgenza sia durante l’intervento ricostruttivo definitivo, che dovrebbe preferibilmente essere eseguito in una finestra di tempo piuttosto breve, al massimo entro 72 ore dal trauma. Da qui la necessità della particolare e rapida coordinazione delle due équipe.
«Il paziente deve essere visitato», fa sapere Murena, «in modo simultaneo fino dall’accesso al Pronto Soccorso, cui deve seguire la definizione di un planning chirurgico studiato e programmato contemporaneamente dalle due équipe che si devono poi ritrovare nello stesso momento allo stesso tavolo operatorio, in perfetta integrazione e sinergia».
Importanza della multidisciplinarietà
L’ortoplastica va ben oltre la cooperazione e la simultaneità di azione; il miglior successo clinico, a beneficio del paziente, è dipendente anche da alcuni altri valori aggiunti: l’approccio, la gestione e la visione multidisciplinare della problematica in atto sono fra questi.
«Vi è evidenza, che mettendo insieme uno staff con expertise multidisciplinare, ovvero professionisti che si prendono in cura e in carico il paziente in modo specifico, cioè per quanto attiene all’ambito di competenza, è possibile conseguire risultati migliori dai trattamenti prestati».
Contemporaneità, organizzazione e coordinamento tra due équipe di diverse specialità intorno al paziente sono le “credenziali” per un migliore successo della tecnica e dunque delle performance dell’ortoplastica, un expertise che di norma si adatta alla quasi totalità dei pazienti, salvo qualche controindicazione, e che viene attuata con una procedura e un approccio uniformi.
«Prendiamo quale esempio campione», riprende Murena, «un paziente con una frattura gravemente esposta dell’arto inferiore. L’approccio ortoplastico prevede una visita congiunta del traumatologo e del plastico già in pronto soccorso; si tratta di una prima grande rivoluzione, in quanto richiede la presenza di un chirurgo plastico reperibile 24 ore su 24 all’interno della struttura che possa valutare il paziente in collaborazione con l’ortopedico.
Insieme, ortopedico e plastico definiscono il percorso terapeutico e quindi procedono in modo sinergico in sala operatoria, con tempi declinati a seconda della gravità del trauma, a eseguire innanzitutto un debridement, cioè la pulizia di tutti i tessuti devitalizzati, sia scheletrici ad opera dell’ortopedico sia dei tessuti molli da parte del plastico. L’eliminazione del materiale necrotico, potenziale terreno fertile per possibili future infezioni, ne perviene/evita lo sviluppo.
A seguito della pulizia si stabilizza temporaneamente la frattura e si sigillano i tessuti molli vitali con delle medicazioni avanzate o con delle terapie a pressione negativa. Per pianificare insieme il trattamento ricostruttivo definitivo si procede con lo studio dell’area e della lesione traumatica tramite esami dedicati, quali la Tac, l’angioTac o altri esami di imaging. Infine, ortopedico e plastico si ritrovano per definire, ancora una volta in modo congiunto, il planning ricostruttivo dell’intervento definitivo che viene svolto di norma nell’arco di 72 ore, la finestra ottimale che consente le migliori opportunità come suggerito e dimostrato da una molteplicità di studi di letteratura.
Dal lato ortopedico, il chirurgo procede con una fissazione interna, nella gran parte dei casi ricorrendo all’uso di placche e chiodi. Tale area sarà poi ricoperta dal chirurgo plastico con quanto ritiene più adatto alla situazione clinica, tenuto conto che la frattura e i mezzi di sintesi vanno coperti con tessuti vitali quali, per esempio, lembi di rotazione, lembi liberi o diverse altre soluzioni».
Centri di eccellenza
È fondamentale per garantire i migliori esiti all’intervento di ortoplastica che il paziente venga affidato a centri di eccellenza e di elevata expertise, che dispongano cioè di numeri sufficienti che accreditano un’adeguata competenza all’esecuzione chirurgica, ma che al proprio interno abbiamo entrambe le équipe in grado di cooperare in sinergia e le tecnologie e strumenti necessari alla prestazione.
«È fondamentale creare centri di riferimento dedicati affinché soprattutto i pazienti più gravi possano essere centralizzati e affidati alle mani di un traumatologo esperto, capace di intervenire con le tecniche più innovative di traumatologia e di ricostruzione dei difetti ossei laddove necessario, e di un chirurgo plastico esperto nella ricostruzione con lembi.
Inoltre, ciascuno degli esperti nella valutazione e nell’approccio al paziente deve considerare anche le esigenze dell’équipe che lo affianca per il raggiungimento del migliore risultato clinico. Questa è un’abitudine che si crea e si affina nel tempo grazie al lavoro congiunto, al confronto e al dialogo fra specialisti».
Infine, i centri di riferimento, oltre che dell’expertise professionale, devono disporre anche di adeguate risorse strutturali, come sale operatorie dedicate attivabili per questo tipo di chirurgia, nonché di risorse umane e professionisti disponibili ad avviare un cambio culturale, superando cioè il lavoro per singola disciplina e organizzando percorsi e protocolli che prevedano una valutazione condivisa fra esperi di diverse discipline.
Un cambio di paradigma
L’ortoplastica ha rappresentato e rappresenta un nuovo paradigma nella gestione del paziente complesso almeno in ambito traumatologico.
«In termini di risultati, laddove si decide di preservare un arto, quindi di non procedere a un intervento demolitivo quale l’amputazione, occorre garantire al paziente la migliore funzione possibile, in assenza di infezioni croniche. Queste, infatti, aggravano e impoveriscono drammaticamente la qualità di vita del paziente, la sua capacità lavorativa, le sue relazioni sociali, aumentando i costi assistenziali per la società.
In qualche caso la persona che ne subisce le conseguenze può anche arrivare a preferire l’amputazione dell’arto piuttosto che subire i disagi di una infezione cronica. Obiettivo dell’ortoplastica è, dunque, riportare il paziente alla sua vita sociale e lavorativa nel più breve tempo e nel miglior modo possibile.
Ciò implica che si arrivi alla risoluzione del danno del trauma in tempi relativamente stretti e senza esiti eccessivamente invalidanti e scarsamente accettabili. L’ortoplastica traccia in tal senso una via che a fronte di un iniziale aumento dei costi di trattamento e d’impiego di risorse, riduce complessivamente nel lungo periodo i costi legati alla gestione della cronicità, della disabilità e dell’invalidità».
Va tuttavia messa in conto, come per qualsiasi altro intervento e considerata l’elevata complessità chirurgica, che nonostante l’attuazione di tutte le buone pratiche cliniche si possano verificare complicanze anche severe, primo fra tutti il rischio di fallimento dei lembi chirurgici, di mancata guarigione delle fratture e, seppur ridotto quando confrontato a tecniche più tradizionali, il rischio d’infezione.
«Trattandosi spesso di lembi microchirurgici, o comunque di lembi che basano la loro vitalità su dei peduncoli vascolari è possibile che si verifichino delle crisi vascolari.
Anche per questo motivo una équipe, piuttosto che un singolo chirurgo esperto, permette di fornire una copertura h24 di reintervento in caso di possibili complicanze acute di questi trattamenti, per esempio rivascolarizzando il lembo o laddove non fosse possibile, ricoprendo tempestivamente la zona trattata con un nuovo lembo».
Al termine dell’intervento ricostruttivo, il paziente è monitorato per verificare che non insorgano complicanze precoci o che la vitalità dei lembi non sia compromessa.
«Superato questo periodo-finestra, il paziente è avviato a un percorso rieducativo in un centro di riabilitazione o verso una riabilitazione ambulatoriale ed è seguito in follow-up da una équipe ortoplastica informata da tutte le figure di riferimento.
Sottolineo, infine, l’impegno della Siot, che negli ultimi anni ha dimostrato una sensibilità particolare per l’argomento supportando il progetto di diffusione delle conoscenze nell’ambito dell’ortoplastica, promuovendone la cultura, anche tramite l’avvio di gruppi di studio e collaborando con la Società Italiana di Chirurgia Plastica e Ricostruttiva e con la Società Italiana di Microchirurgia per l’elaborazione di linee guida e protocolli dedicati».