Le fratture di caviglia sono in aumento, in parte a causa dell’invecchiamento della popolazione e dell’osteoporosi, in parte per l’aumento delle persone che praticano sport e possono incorrere in traumi sportivi. L’incidenza di questa frattura è stimata in 187 casi ogni 100 mila abitanti l’anno, il che significa circa 110 mila fratture annuali solo in Italia. In circa l’1%-10% dei casi, la frattura di caviglia coinvolge anche la sindesmosi tibio-peroneale, fondamentale per la stabilità articolare. Si tratta di una lesione definita “distorsione alta” dalla letteratura, dovuta a rotazione esterna ad alta energia, che coinvolge soprattutto sportivi dediti ad attività come il football americano, il rugby e il calcio, ovvero con alta frequenza di collisioni tra avversari, rapidi cambi di direzione e torsioni della caviglia stessa. Altri sport ad alta incidenza di questo tipo di lesione sono lo sci e l’hockey, a causa dell’immobilizzazione rigida data dalle calzature specifiche. In presenza di una frattura instabile, la caviglia deve essere sottoposta a intervento chirurgico di sintesi o fissazione.

La tecnica dei bottoni

Durante il Congresso Annuale dell’Orthopaedic Trauma Association, tenutosi in Canada nel mese di ottobre 2024, si è discusso dei vantaggi dati dall’eseguire l’intervento di fissazione di una frattura di caviglia instabile con lesione alla sindesmosi tibio-peroneale con la tecnica di sutura dei bottoni.

In particolare, questa tecnica sembra consentire al paziente di tornare a caricare prima il peso sull’articolazione rispetto ad altre. Lo dimostra uno studio, condotto su un piccolo numero di pazienti, e presentato da Mubinah Khaleel, parte del team del chirurgo ortopedico Kyle Schweser, direttore della divisione Piede e Caviglia dell’Università del Missouri.

Gli specialisti hanno coinvolto nello studio 39 pazienti, tutti trattati con la tecnica dei bottoni, dividendoli in due diversi gruppi: uno ha iniziato a caricare il peso dopo solo due settimane dall’intervento, mentre l’altro ha aspettato le sei settimane. Più nel dettaglio, il primo gruppo ha iniziato a caricare la caviglia con il supporto di un dispositivo per il controllo del movimento articolare (CAM) per poi abbandonarlo gradualmente fino al carico in sicurezza a sei settimane dall’intervento.

Anche gli altri pazienti hanno iniziato a usare il CAM a due settimane, ma solo per allenare in sicurezza il ROM articolare, per poi iniziare a caricare alle sei settimane ed effettuare la transizione entro le dieci settimane. Vediamo se queste due diverse modalità portano a risultati funzionali differenti.

Carico precoce significa migliore dorsiflessione

In linea con il lavoro di Schweser e colleghi, le due diverse modalità di intervento non incidono sui parametri radiografici, che sono positivi in tutti i pazienti, le cui fratture sono guarite e restate unite anche a distanza di un anno. Anche la soddisfazione dei pazienti e il tasso di complicanze è simile nei due gruppi. Ciò che cambia è, però, la funzionalità articolare e, in particolare, la capacità di dorsiflessione: questa risulta essere doppia nei pazienti che hanno caricato prima il peso, pari a 14°, contro i 7° del gruppo di controllo. Questi primi risultati sostengono la possibilità di proseguire la ricerca, per esempio includendo campioni maggiori e facendo anche confronti tra tecniche chirurgiche diverse.

Paper: Khaleel M, et al. Paper 121. Outcomes Following Early Weightbearing in Syndesmotic Injuries: A Randomized Controlled Trial, presentato all’Orthopaedic Trauma Association Annual Meeting; Oct. 23-26, 2024; Montreal, Québec, Canada