Modello predittivo per il recupero postoperatorio di fratture di calcagno

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Genere femminile ed età over 60 sono due dei fattori che indipendentemente influenzano il buon esito dell’intervento.

Le fratture del calcagno rappresentano circa il 2% delle fratture che si verificano annualmente. Se si considera il solo piede, però, queste fratture rappresentano circa il 60% di tutte le fratture del tarso. La loro incidenza è di 11,5 fratture ogni 100.000 abitanti l’anno.

Per lo più queste lesioni si verificano per urti ad alta energia, determinati da cadute dall’alto e incidenti stradali, ragion per cui ne sono colpiti più gli uomini delle donne. Sono inoltre fratture che interessano soprattutto giovani e giovani adulti.

La strategia terapeutica scelta è spesso quella chirurgica, per aumentare la probabilità che il paziente possa recuperare al massimo l’efficienza del piede, anche se non sempre gli outcome ottenuti sono quelli desiderati.

Per capire quali pazienti godranno maggiormente dell’intervento e quali sono invece a rischio di recupero difficile, un team cinese ha avviato uno studio retrospettivo alla ricerca di fattori di rischio da inserire in un modello predittivo.

Alla ricerca di fattori di rischio

Poter individuare prima dell’intervento i pazienti a maggior rischio di andare incontro a un recupero difficile può facilitarne la presa in carico, magari con percorsi studiati ad hoc per migliorarne gli outcome.

Pubblicato su “Journal of Orthopaedic Surgery and Research”, lo studio parte da 659 pazienti con frattura di calcagno chiusa, dei quali valuta le caratteristiche pre e postoperatorie.

L’81,9% di questi soggetti ha avuto un buon recupero, mentre il restante 19,1% è andato incontro a problematiche. I pazienti sono stati divisi in 2 coorti: una di training (509) e una di validazione (150): la prima è servita per individuare i possibili fattori di rischio associati a scarso recupero, mentre la seconda per confermarli.

Gli autori hanno così individuato una serie di caratteristiche, non solo del paziente, da tenere sotto controllo. Sembrerebbe, infatti, che il genere femminile abbia minori possibilità di guarire al meglio rispetto a quello maschile. Conta poi l’età: i soggetti con più di 60 anni recuperano peggio.

Accanto a questi aspetti demografici, ce ne sono altri che riguardano l’intervento: un’intervento condotto tra gli 8 e i 14 giorni dopo la frattura porta a scarsi esiti, così come la presenza di infezioni postoperatorie e aver intrapreso esercizi in carico dopo più di 3 mesi dall’intervento.

Un esempio pratico di applicazione del modello

Il modello predittivo costruito utilizzando questi aspetti risulta avere un indice di concordanza pari a 0.750 nella coorte di training e a 0.688 in quella di controllo, valori che indicano un livello di discriminazione abbastanza buono.
Come si utilizza questo modello predittivo? Praticamente si considerano le variabili indicato in maniera indipendente, mettendole su un nomogramma per sommarne i pesi.

Gli autori portano un esempio. Se il paziente è maschio, ha tra i 31 e i 40 anni, è stato operato entro 7 giorni dalla frattura, sviluppa un’infezione post-operatoria e ha iniziato a carica il piede tra i 4 e i 6 mesi, allora il rischio di non recuperare al meglio è di 0.454.
Come già accennato, questo strumento può essere utile per stabilire un corretto piano terapeutico, per esempio elaborando un apposito programma riabilitativo.

(Lo studio: Li, W., Wang, Y., Zhang, Z. et al. A risk prediction model for postoperative recovery of closed calcaneal fracture: a retrospective study. J Orthop Surg Res 18, 612 (2023). https://doi.org/10.1186/s13018-023-04087-8)