La corretta valutazione del trauma per impostare una terapia riabilitativa idonea è un lavoro multidisciplinare che include novità farmacologiche e terapia riabilitativa.
Sono traumi che passano in pochi giorni, in molti casi, specie tra gli sportivi amatoriali, vengono sottovalutati e trattati male o non trattati affatto.
Invece è di grande importanza intavolare un approccio tempestivo e consapevole, per evitare problemi successivamente. Si è parlato del trattamento conservativo dei traumi lievi a Roma, in occasione di un incontro dedicato alle patologie osteoarticolari.
Incidenza delle contusioni e dei traumi distorsivi
Il trauma lieve si risolve mediamente in tre giorni, quello moderato in circa dieci. Le contusioni sono senza dubbio gli infortuni più frequenti, con un’incidenza del 30%, e insieme agli stiramenti rappresentano circa il 90% di tutti gli infortuni muscolari; spesso, inoltre, sono accompagnati dalla formazione di ematoma: i traumi distorsivi, invece, rappresentano circa il 20%.
«Gli sport più spesso implicati in queste problematiche sono il calcio, il football americano, il rugby, il basket, il baseball, ma anche la ginnastica artistica e la danza», ha spiegato a margine dell’evento Agostino Tucciarone, primario ortopedico ICOT di Latina. Nel calcio i traumi contusivi riguardano essenzialmente il distretto inferiore, quindi la gamba, la caviglia e il piede.
Le figure chiave nel trattamento dei traumi lievi o moderati
Lo stato dell’arte delle patologie osteo-articolari nel 2018 prevede da un lato l’intervento dell’ortopedico che, fatta la diagnosi, interviene con approcci che possono essere chirurgici ma anche conservativi che si associa a quello del fisioterapista che interviene mettendo in pratica le indicazioni di tipo fisioterapico.
In questo ambito ovviamente si collocano anche il geriatra e il neurologo che si occupano anch’essi in maniera varia degli aspetti riabilitativi nel caso delle malattie dell’invecchiamento e in quelle degenerative e che quindi sottraggono o non permettono che venga sviluppato un protocollo, un percorso riabilitativo individuale ideale.
Inoltre, ci sono l’algologo e il radiologo interventista che possono fare una terapia mini interventistica per rimuovere le cause di questi dolori.
Ci sono poi anche altre figure non mediche, come l’osteopata e il chiropratico, che si occupano di problemi posturali e che possono anch’essi porsi come figure di riferimento terapeutico.
Nel caso di traumi domestici o durante attività fisica amatoriale, il soggetto si può rivolgere in prima istanza anche al medico di medicina generale, al pronto soccorso o in farmacia.
«Esiste un protocollo ben preciso da seguire anche nel caso di traumi lievi e moderati, che sebbene impattino meno sulla vita del paziente, necessitano di una giusta e corretta attenzione».
Ha introdotto così il metodo RICE Raoul Saggini, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Orali e Biotecnologiche, Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Chieti.
Il RICE è un semplice protocollo d’intervento per arginare la reazione infiammatoria in caso di infortunio che comprende il riposo (Rest), l’applicazione immediata del ghiaccio (Ice), la compressione (Compression) dell’impacco del ghiaccio sulla parte infiammata e l’elevazione della parte sopra il livello del cuore (Elevation).
I fisiatri aggiungono anche una M, che sta per magnetismo, ovvero atti riabilitativi con campi elettromagnetici.
Il fisiatra è per l’appunto la figura con le competenze più ampie e complete per inquadrare la sintomatologia, la causa e definire la terapia che può essere conservativa, ma non solo conservativa.
Il fisiatra oggi è in grado di sviluppare una medicina riabilitativa aderente agli anni 2020 adottando un approccio olistico con cui affronta il soggetto definendo il progetto riabilitativo nella sua interezza e nel suo divenire.
Questo viene realizzato realizzando una definizione di azioni diverse ma coordinate con interventi senza dubbio conservativi, ma anche – e questa è la novità – avvalendosi di procedure terapeutiche a minima invasività allo scopo di contenere i tempi di trattamento e di massimizzare i benefici riabilitativi attraverso l’induzione di processi di rigenerazione tissutale. Per fare questo il medico riabilitatore sviluppa quella che è la medicina riabilitativa interventistica, che è una medicina di precisione.
Medicina Riabilitativa
Attraverso un inquadramento diagnostico e lo sviluppo terapeutico a indirizzo rigenerativo e riabilitativo, si focalizza su differenti quadri patologici dell’apparato muscolo-scheletrico, del sistema nervoso centrale e periferico e sulla cura di quei quadri dolorosi.
Di solito i quadri dolorosi di rilievo vengono indirizzati all’algologo, tuttavia l’intervento di quest’ultimo, volto al controllo del dolore, consente al soggetto di uscire dalla spirale del dolore ma non è terapeutico causale. Può diventare terapeutico causale solo quando si applica in un contesto riabilitativo che sia riconducibile a un piano terapeutico definibile come “interventional percutaneous pain rehabilitative management”.
Se, per esempio, un paziente con una sciatalgia dovuta alla presenza di un’ernia del disco, che è stato posto in trattamento riabilitativo, dopo una settimana di terapia continua a manifestare dolore si può ricorrere anche a un trattamento mininvasivo come quello con ossigeno-ozono a livello periforaminale.
Un altro esempio è quello di un paziente con una gonartrosi grave associata a un quadro algodistrofico che è stato sottoposto a un intervento con energie fisiche avanzate che agiscono sul quadro algodistrofico.
Se dopo la prima settimana, pur essendo migliorato, ha ancora dolore alla massima flessione e ha anche un danno meniscale, l’esecuzione di una infiltrazione di acido ialuronico ibrido mette il soggetto nelle condizioni di proseguire e di migliorare i risultati del progetto riabilitativo.
Questo tipo di approccio si configura nel progetto riabilitativo globale che il fisiatra crea e che lo vede impegnato non solo nella definizione della patologia e nella creazione del protocollo, ma anche nella realizzazione insieme ai fisioterapisti. È infatti il fisiatra che, nel coordinare, può decidere quando intervenire anche con la parte mininvasiva.
Trattamento farmacologico
Un modo per sfruttare al massimo l’effetto di un FANS a livello della zona affetta limitando al minimo gli effetti indesiderati è rappresentato dal ricorso alle preparazioni topiche, la cui efficacia e sicurezza sono già state ampiamente documentate. Un recente progresso in questo campo è rappresentato dalla formulazione in cerotto di diclofenac epolamina (180 mg) con l’aggiunta di eparina sodica (5600 UI) come eccipiente.
«L’eparina», ha spiegato Maria Adele Giamberardino, professore associato presso il Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento – Medicina Interna dell’Università di Chieti, «aumenta la permeabilità del principio attivo diclofenac, aumentando la penetrazione nella parte interessata.
Una maggiore concentrazione di diclofenac aumenta l’effetto antalgico/antinfiammatorio locale e nel contempo può favorire e accelerare il riassorbimento dell’edema, come dimostrano diversi studi randomizzati, controllati e in doppio cieco».
Gli studi a supporto della nuova formulazione topica
La maggiore efficacia del cerotto diclofenac epolamina in combinazione con eparina a dose fissa ha trovato conferma in una serie di studi clinici controllati verso placebo in cui è stato utilizzato nel trattamento di contusioni e distorsioni.
In particolare nel caso di uno studio condotto in 430 pazienti con distorsione di caviglia di grado I o II di severità.
Già dopo tre giorni di terapia il cerotto diclofenac/eparina ha consentito di ottenere un miglior controllo del dolore rispetto al cerotto di diclofenac nei cui confronti sembrava avere anche un maggior effetto sulla riduzione del gonfiore.
Il maggior effetto sul dolore del cerotto diclofenac/eparina è stato documentato anche nel caso delle contusioni muscolari di severità lieve-moderata.
I dati vengono da uno studio condotto in 331 pazienti con dolore a un movimento standardizzato superiore a 50 mm VAS e un ematoma superficiale di dimensioni inferiori a 140 cm² che sono stati trattati per due settimane con cerotto diclofenac/eparina, con cerotto diclofenac o con un placebo. Già al terzo giorno era documentabile una maggior riduzione del dolore in misura statisticamente significativa nei pazienti trattati con cerotto diclofenac/eparina rispetto a quelli trattati con il solo diclofenac.
Entrambi i gruppi trattati con i cerotti veicolanti il principio attivo sono risultati più efficaci del placebo. La presenza di eparina si riflette favorevolmente anche sulla rapidità di riassorbimento dell’ematoma. Indicazioni in tal senso vengono da uno studio condotto in 185 pazienti con un trauma contusivo o distorsivo complicato da un ematoma di dimensioni inferiori a 140 cm².
Anche in questo studio erano stati messi a confronto cerotti di diclofenac/eparina, di solo diclofenac o di placebo. I pazienti trattati con diclofenac/eparina hanno mostrato una più rapida risoluzione dell’ematoma rispetto sia al placebo sia ai cerotti di diclofenac.
Inoltre, i pazienti trattati con diclofenac eparina avevano il 60% di probabilità di una completa risoluzione dell’ematoma entro 10 giorni.
Caterina Lucchini