Una delle criticità da superare nel processo di sviluppo di protesi robotiche è che queste non ricevono ordini direttamente dal sistema nervoso centrale, come avviene in un’articolazione nativa, essendo una componente esterna. Va altresì considerato che, nell’arco della giornata, il soggetto passa più volte dallo stare seduto allo stare in piedi, e viceversa, così come dal camminare in piano al camminare in salita o dal salire le scale a scenderle. Al momento le protesi offrono diversi comandi per passare da una modalità all’altra, ma non sempre sono efficaci. Inoltre, possono rispondere in modo diverso a seconda del tipo di terreno su cui ci si muove, causando a volte dolore a carico del moncone.
Un team di ricerca dell’Università del Michigan si è proposto di migliorare l’esperienza di controllo di una protesi robotica, rendendo più facile il movimento.
L’idea dei ricercatori
Grazie a un fondo di tre milioni di dollari, ricevuto da National Institutes of Health, il team ha lavorato all’implementazione in una protesi robotica di un modello di controllo per prevedere, passo dopo passo, la posizione delle articolazioni robotiche necessaria per garantire un movimento fluido.
Il modello è stato inizialmente sviluppato dal professore associato di Robotica Robert Gregg nel 2013, pensando a una camminata in piano, per poi ricevere nel 2018 ulteriori fondi per estendere l’uso del modello ad altri scenari, come piani inclinati, scale, sit-to-stand e sit-to-walk.
A quel punto i ricercatori si sono accorti che ancorare l’algoritmo di controllo direttamente all’angolo articolare rendeva difficile il passaggio da una posizione all’altra. Con i nuovi fondi il team sta ora cercando una soluzione.
Da un controllo diretto a uno indiretto
L’idea è cambiare la tipologia di controllo articolare, rendendola indiretta e imitando l’impedenza meccanica, sempre usando il metodo di lavoro basato su un controllo in continuo. Utilizzare l’impedenza, spiegano i ricercatori, permette di spostare le forze in gioco in modo delicato, tornando indietro in caso di disturbo da parte dell’ambiente esterno.
Per mimare al meglio il passo di una persona con arti inferiori sani, Gregg e il suo team hanno programmato il sistema di controllo prendendo i parametri di soggetti con entrambe le gambe native, per poi passare a quelli di amputati supportati da esoscheletro.
«Siamo così in grado di valutare l’impedenza meccanica, ma anche la viscosità, la rigidità e l’inerzia articolari».
Il nuovo sistema di controllo sarà testato anzitutto su una protesi robotica realizzata dal team di Gregg, per poi passare a una protesi già in commercio, con i dovuti cambiamenti. Saranno, infine, misurati il comfort della protesi e il dolore associato. Se il progetto otterrà i risultati sperati, i pazienti amputati potranno migliorare di molto la qualità di vita.