Le fratture da scoppio delle vertebre, classificate come tipo B, vengono tradizionalmente trattate con un complesso intervento di rimozione prima e sostituzione poi della vertebra danneggiata con una protesi in metallo o in osso proveniente da banca apposita.
In alcuni casi, ciò non basta, ma richiede anche un secondo intervento di stabilizzazione della colonna, ottenuta con barre e viti. Ne derivano lunghi tempi chirurgici associati a un alto rischio di emorragia con trasfusione di sangue, dal momento che l’accesso è dal bacino.
Inoltre, il postoperatorio di un intervento così complesso porta dolori molto forti. Per questo, quando una donna di 56 anni è giunta al Dipartimento di Urgenza-Emergenza dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso a seguito di un grave incidente automobilistico con traumi vari, compresa la frattura di due vertebre, delle quali una con frattura di tipo B, l’équipe ha discusso attentamente il caso, decidendo per seguire una via meno invasiva e decisamente più innovativa. Il caso è stato gestito in due fasi.
Il primo intervento è stato condotto dall’équipe di Neuroradiologia Interventistica sotto la guida del dott. Altin Stafa: in sala angiografica, sotto guida a raggi x, i medici sono giunti alla vertebra fratturata tramite i peduncoli vertebrali e l’anno ricostruita usando due piccole protesi espandibili in titanio, più o meno grandi 2,5 cm. Infine, per stabilizzare il tutto, è stato iniettato in sede del cemento osseo.
Il giorno dopo è intervenuta l’équipe di Neurochirurgia Vertebrale, composta dai dott. Roberto Zanata e Jacopo Del Verme, che ha stabilizzato la nuova vertebra con barre e viti, fissando, però, un segmento di colonna vertebrale molto più corto, rispetto all’intervento tradizionale. Ciò significa che la funzionalità della colonna è maggiormente preservata.
Francesco Benazzi, direttore generale dell’ospedale veneto, ha sottolineato: «questo intervento innovativo è l’ennesimo esempio del fatto che la medicina odierna trova la sua massima espressione terapeutica nella multidisciplinarietà e nella convergenza delle competenze e delle idee e il lavoro quotidiano delle due équipe di Neurochirurgia e Neuroradiologia di Treviso ne è una prova».
Le due Unità Operative sono infatti abituate alla collaborazione, non solo per le patologie vertebrali. Agli operatori dell’intervento è andato il plauso di Benazzi: «mi complimento con i medici che hanno studiato l’inedita soluzione ed effettuato gli interventi, volti a ridurre al minimo il rischio e il dolore per la paziente e a ottimizzare il risultato».