Sensori di feedback per protesi attive

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(foto archivio)

Il sogno di molti ricercatori in ingegneria biomedica e meccanica, oltre che di ortopedici e medici, è offrire ai pazienti con amputazione di arto superiore o di mano una protesi attiva che possa sostituire nel modo più completo possibile l’arto nativo.
Purtroppo, gli schemi motori che riguardano la mano sono davvero complessi, tanto a livello di corteccia motoria quanto di impulsi nervosi: mimare perfettamente una mano nativa è quindi difficile.
Eppure, nel tempo, la ricerca si sta avvicinando a questo obiettivo.

Per farlo, occorre però utilizzare sensori di biofeedback che permettano all’utilizzatore di percepire alcuni aspetti del tatto, così da rendere più completo il controllo del movimento. Senza il tatto, per esempio, è impossibile modulare la forza di una stretta di mano, perché non si capisce la qualità dell’oggetto che si sta toccando… In altre parole, una protesi attiva priva di un feedback sensoriale diventa difficile da utilizzare nella vita quotidiana, tanto da portare chi la usa in via sperimentale ad abbandonarla. Esistono oramai varie forme di biofeedback, alcune invasive e altre no.

Uno studio tedesco, condotto presso l’Università di Offenburg, ha presentato alla comunità scientifica un disegno concettuale di mano attiva antropomorfica fatta in silicone con integrato il sistema di feedback: associato a una ortosi motorizzata, questo sistema permette di muovere la mano e al tempo stesso acquisire informazioni relative a flessione e pressione delle dita. Il prototipo è stato costruito partendo dalla mano di un volontario, acquisita attraverso uno scanner 3D e poi, dopo le dovute elaborazioni CAD, stampandola in 3D.

(credits: © 2021 by the authors. La foto è diffusa in accordo con la Creative Commons Attribution (CC BY) licence)

Il silicone è stato scelto perché è un materiale che può mimare le fattezze della cute, quantomeno per quel che riguarda colore e morbidezza: l’aspetto estetico è spesso determinante nel facilitare l’uso di una protesi e mentre c’è chi ama sfoggiare protesi visivamente robotiche, altri possono sentirsene limitati. Esiste un ma, però. Esistono vari tipi di silicone: qual è il migliore da usare? Ne serve uno per tutta la mano, o è meglio averne diversi tipi a seconda delle parti della mano? Ricordiamo che il silicone ospita al suo interno il sistema di sensori per il feedback, le cui parti dure devono essere sistemate lontano dalle zone di articolazione, per non essere di intralcio ai movimenti della mano stessa.

Gli autori alla fine delle loro prove hanno stabilito che è necessario mescolare due diversi tipi di silicone per ottenere alcune zone della mano più dure e altre più morbide, a seconda della mobilità che devono avere. I test sui sensori, anche essi stampati all’interno del silicone, sono andati a buon fine: questi permettono di distinguere tra la presa di un oggetto piccolo o grande e anche di forme simili o differenti. Certo, il progetto è ancora da perfezionare, ma gli autori sono convinti che la via sia giusta, anche perché permetterebbe di costruire protesi personalizzate a costi accettabili.

Cliccando qui si può vedere il prototipo in azione.

(Lo studio: Hazubski, S.; Bamerni, D.; Otte, A. Conceptualization of a Sensory Feedback System in an Anthropomorphic Replacement Hand. Prosthesis 2021, 3, 415-427. https://doi.org/10.3390/prosthesis3040037)

Stefania Somaré