Rigidità di caviglia nell’arto protesizzato

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Un parametro importante da considerare quando si progetta una protesi di arto inferiore è la rigidità della caviglia.
In un arto sano questa cambia in base al tipo di movimento effettuato, essendo maggiore per esempio quando si ondeggia sul posto e minore quando si effettua il passo.
Ciò significa che la rigidità scelta per l’articolazione protesica deve essere un compromesso che consenta stabilità in equilibrio statico e dinamico e durante il passo.

La letteratura è ricca di studi che valutano cinetica e cinematica di questa parte protesica durante il passo, mentre è più carente di lavori incentrati sull’equilibrio statico.
Un gruppo di ricerca francese ha effettuato uno studio in questa direzione.
In particolare, gli autori si sono concentrati su undici soggetti sani, facendo indossare loro un simulatore di protesi sotto la pianta dei piedi.
Il disegno di studio stabilisce di coinvolgere soggetti sani e simulare un’amputazione a entrambi gli arti inferiori per ridurre al massimo il rumore di fondo dato dalla perdita della propriocezione, condizione tipica degli amputati di arto inferiore che incide fortemente sul loro equilibrio e compensata in parte caricando l’arto nativo.

In questo lavoro, invece, la perturbazione dell’equilibrio statico dovrebbe dipendere dalla sola variazione della rigidità articolare.
Ai soggetti in studio è stato quindi chiesto di indossare una protesi di piede ESAR (Energy Storage And Return), che presenta tre moduli, tutti adatti a un soggetto con normale livello di attività ma ognuno pensato per un diverso peso: M1 per un soggetto che pesa dai 45 ai 59 kg; M3 per un peso tra 75 e 89 kg; M6 per un peso tra 125 e 150 kg.

Le protesi sono state inizialmente valutate con un test di laboratorio puramente meccanico e solo successivamente sono state fatte indossare con simulatore ai volontari, che hanno dovuto mantenere una posizione statica eretta, a occhi aperti e chiusi.

Nel dettaglio, lo studio prende in considerazione due variabili, il centro di pressione e il range of motion articolare, osservandone i cambiamenti in diverse condizioni.
Si evince che l’equilibrio statico dipende molto dalla rigidità articolare e dalla vista del soggetto.
Gli autori, per esempio, hanno calcolato la rigidità articolare media per ogni soggetto, normalizzandola in relazione al peso corporeo e calcolando un limite sotto il quale la rigidità diventa pericolosa per l’equilibrio.
In questo modo hanno potuto osservare che i volontari che hanno indossato i moduli M1 e M3 avevano una rigidità media inferiore al livello di soglia, mentre il contrario accade per chi ha usato il modulo M6.
Ecco che l’equilibrio statico è risultato superiore per la protesi M6, seguita da M3 e M1.

Per quanto riguarda la vista, gli autori hanno osservato che tenere gli occhi aperti consente di ridurre il range di oscillazione articolare rispetto al tenere gli occhi chiusi: la percezione visiva incide dunque sull’equilibrio statico di un amputato.
Sarebbe utile verificare questi risultati su soggetti realmente amputati, per confermarli.
Lo studio comunque porta l’attenzione sulla necessità di progettare al meglio la rigidità articolare di una protesi di arto inferiore per aiutare il soggetto a stare in equilibrio.
È noto, infatti, che quanto perso a livello di caviglia viene compensato con micro movimenti che coinvolgono le articolazioni native, dal ginocchio all’anca. Un movimento che può stancare l’amputato e che sarebbe utile ridurre.

(Lo studio: Louessard, A.; Bonnet, X.; Catapano, A.; Pillet, H. Quantification of the Influence of Prosthetic Ankle Stiffness on Static Balance Using Lower Limb Prosthetic Simulators. Prosthesis 2022, 4, 636-647. https://doi.org/10.3390/prosthesis4040051)

Stefania Somaré