La ricostruzione del legamento crociato anteriore è una procedura chirurgica ampiamente usata in soggetti sportivi, più a rischio di incorrere in una lesione a causa dei carichi ai quali è sottoposto il ginocchio.
Durante l’intervento il legamento rotto o rovinato viene sostituito con un autograft o un allograft. Esistono casi nei quali, a distanza di anni, il legamento trattato si lesiona nuovamente: occorre quindi procedere con una revisione, che ha però minori probabilità di successo.

Secondo un team di ortopedici afferenti alla Washington University (St. Louis, MO) e al Centro Medico Universitario della Vanderbilt University (Nashville, TN), esistono procedure chirurgiche in grado di migliorare a lungo termine gli outcome della revisione di ricostruzione dell’ACL: in particolare, un approccio transtibiale e la scelta di una vite di inferenza per la fissazione tra tibia e femore.

Lo studio è stato presentato durante il meeting annuale della American Orthopedic Society of Sports Medicine – Arthroscopy Association of North America Combined (https://aossm-aana.sportsmed.org/program).

Gli autori hanno condotto uno studio per valutare l’impatto delle due tecniche sopra citate sugli esiti a 6 anni dell’intervento di revisione: 1.234 i pazienti inclusi, dei quali il 58% maschi e il 42% femmine. Per ogni paziente si sono registrati dati demografici, le tecniche utilizzate, i risultati di alcuni questionari, tra cui l’Internazional Knee Documentation Committee (IKDC), il Knee Injury and Osteoarthritis Outcome Score (KOOS), il Western Ontario and McMaster University Osteoarthritis index (WOMAC) e il Marx activity rating score. Il 77% dei soggetti ha concluso lo studio, partecipando agli incontri di fllow up per 6 anni. Analizzando i dati, gli autori hanno individuato tre cause principali legate ai risultati deludenti, tra cui il tipo di fissazione scelta per femore e tibia.

In particolare, l’uso di una vite di interferenza consentirebbe di migliorare gli esiti in modo significativo, rispetto alla scelta di un perno incrociato, riducendo di 2,6 volte la probabilità di dover essere sottoposto a un altro intervento entro 6 anni. Non si può dire nulla di un tempo maggiore, perché lo studio si è fermato proprio a 6 anni. La tecnica risulta essere migliore anche rispetto ad altre tecniche di fissazione, migliorando l’IKDC, il KOOS, il WOMAC e anche i valori della rigidità. Inoltre, anche l’uso di un approccio transtibiale rispetto a quello anteromediale migliorare gli esiti.

Un altro fattore cui porre attenzione è lo stato del tunnel di apertura: gli autori hanno notato che quando un chirurgo lo ha considerato in posizione ottimale spesso ha ottenuto esiti a 6 anni peggiori di chi invece ha deciso di sostituirlo. Le altre variabili da considerare riguardano lo stato del paziente prima dell’intervento: esiti scarsi si ottengono su pazienti con bassi score e un basso livello di attività di partenza, nei soggetti fumatori al momento della revisione, in quelli con un BMI alto e nelle donne. Contano poi anche il periodo intercorso tra la ricostruzione primaria e la revisione: più è breve e maggiori sono i rischi di fallimento.
Infine, se il paziente è stato sottoposto a ricostruzione di ACL anche al ginocchio controlaterale è più difficile ottenere buoni risultati. Secondo il dott. Rick Wright, primo autore dello studio, «queste variabili possono essere controllate dal chirurgo durante la revisione, potendo così migliorare gli outcome».

Stefania Somaré