Recupero funzionale della mano con esoscheletro

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La mano è il distretto corporeo capace dei movimenti più fini ed è anche quello più usato: quasi ogni attività umana si basa sull’uso delle mani. Con l’avanzare dell’età, però, molte persone perdono le abilità manuali, per lo più a causa dell’artrosi o dell’artrite. Ci sono però altre patologie che possono determinare una disabilità motoria alla mano: sclerosi multipla, SLA, atrofia spinale, esiti di ictus cerebrale.

In molti di questi casi la riabilitazione può fare la differenza tra perdere completamente l’uso della mano e salvarne qualche funzione.
Più la riabilitazione è personalizzata, migliori saranno i risultati. Un aiuto può venire anche dalla robotica, non tanto come sostituto del team riabilitativo quanto come supporto all’iter stabilito dai professionisti e strumento in grado di oggettivare l’andamento del percorso riabilitativo stesso.

Federica Vannetti

«Diversamente dal fisioterapista o dal terapista occupazionale, un robot può registrare i dati relativi a velocità e precisione del movimento, fluidità, resistenza ecc. Ne risultano numeri sui quali il team riabilitativo può basare considerazioni e decidere come e se variare il percorso stabilito», afferma Federica Vannetti, ingegnere biomedico dell’Irccs Fondazione Don Carlo Gnocchi che sta lavorando allo sviluppo di un esoscheletro a basso costo per la riabilitazione della mano, in collaborazione con il gruppo di ricerca del professor Benedetto Allotta, del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Firenze (Unifi Dief), nell’ambito del progetto biennale HOLD, finanziato dalla Unifi e coordinato dai ricercatori Alessandro Ridolfi e Yary Volpe. Il gruppo guidato dalla dott.ssa Vannetti sta studiando un esoscheletro personalizzato per la riabilitazione della mano in grado di lavorare anche in scenari di realtà virtuale.

Un “guanto robotico” adattato alla mano del paziente

Attualmente i robot riabilitativi utilizzabili per lavorare sulle funzioni della mano sono principalmente di tipo “end effector”, ossia la macchina entra in contatto con la mano a livello dei polpastrelli, mentre le articolazioni delle dita sono libere. In questo tipo di robot il movimento del dito viene guidato dal movimento imposto dal meccanismo del robot collegato all’estremità di ciascun dito.

«I prototipi ai quali stiamo lavorando si basano su un concetto diverso: il nostro obiettivo è costruire un esoscheletro che segua al meglio le traiettorie dei vari centri articolari che caratterizzano il sistema mano, le giunture tra falangi e polso. Per fare ciò, occorre pensare a un dispositivo che sia modellato sulla mano del paziente e sulle sue caratteristiche cinematiche».

I prototipi fin qui realizzati sono costituiti da due parti: una in cui risiedono i motori del robot e che non deve essere personalizzata e una studiata di volta in volta sul singolo paziente e realizzata con la stampa 3D. (articolo completo nel numero di febbraio 2019 di Ortopedici&Sanitari)