Quanto si muove l’Europa? Ce lo dice un report CE-OMS

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In un mondo che si fa sempre più popoloso, i costi sociosanitari lievitano costantemente: una situazione che permane da qualche decennio. Ogni patologia, lieve o grave che sia, comporta infatti dei costi diretti per la sanità, in termini di visita, diagnosi e terapia, ma anche dei costi sociali legati, per esempio, all’assenza dal posto di lavoro. Come ridurre questi costi? Man mano che la scienza avanza è sempre più evidente che stili di vita sani permettono alla maggioranza delle persone di vivere in salute la gran parte della propria vita, avendo esigenza di recarsi da medici e in ospedale solo saltuariamente.

Per stili di vita sani si intende certamente una alimentazione semplice, povera in grassi saturi e in prodotti preconfezionati, ma anche attività fisica: ci sono evidenze che quest’ultimo fattore possa, se non portato agli estremi, migliorare anche il metabolismo dell’osso, prevenendo per esempio l’osteoporosi, ma non solo… essere attivi consente anche di controllare il peso corporeo, in particolare la circonferenza vita, che si è scoperto essere associata alla comparsa di molte malattie, in particolare quelle metaboliche, ma non solo. Anche i tumori sembrano presentarsi più spesso in pazienti con stili di vita scorretti. Occorre poi aggiungere l’importanza dell’aria che si respira e della riduzione dell’assunzione di vino, mentre sarebbe meglio eliminare del tutto il fumo.

L’Europa punta certamente ad aumentare il livello di salute base dei propri cittadini e a tal fine ha promosso un progetto insieme all’Organizzazione Mondiale della Sanità, chiamato “WHO European Programme of Work 2020–2025 – United Action for Better Health in Europe”.

All’interno del progetto è stato di recente prodotto un report, “2021 Physical Activity Factsheets for the European Union member States in the WHO European Region”, in cui vengono analizzati il livello di attività fisica svolta nei 27 Stati membri dell’UE, l’epidemiologia dell’inattività, le politiche nazionali per supportare il movimento e lo stato dei sistemi di sorveglianza e monitoraggio presenti. Il documento aggiorna quello precedente, del 2015.

Il primo punto che balza all’occhio è l’impatto che la pandemia e il lockdown hanno avuto sul livello di attività fisica che, seppur superiore rispetto al 2015, ha visto rallentare il suo tasso di crescita a partire dal 2018. Ciò non stupisce: d’altronde per molti mesi parte degli europei sono stati costretti in casa da ragioni di sanità pubblica e, nei mesi successivi il lockdown, magari per timore dell’infezione, è probabile che alcuni cittadini europei non abbiano ripreso le attività motorie.

Un errore, perché chiaramento lo sport, che sia una passeggiata a passo sostenuto nel parco o un allenamento di pallavolo o altro, rinforza indubbiamente il sistema immunitario… e infatti, gli autori sottolineano che è il momento di tornare a supportare l’attività fisica.

Ma come? Vengono suggerite alcune modalità che si sono già dimostrate efficaci e che possono tornare a essere utili: supportare l’attività fisica negli anziani; promuovere l’attività fisica sul posto di lavoro, magari inserendo palestre o altre soluzioni, e a scuola, introducendo brack di movimento tra le diverse ore di lezione e puntando sul gioco all’aperto ogni volta che sia possibile, oltre che sul viaggio casa-scuola fatto a piedi o in bicicletta; puntare sull’intervento dei professori di educazione fisica; facilitare l’accesso ai luoghi deputati all’attività fisica anche ai gruppi svantaggiati; produrre raccomandazioni nazionali inerenti l’attività fisica per modificare la cultura dei cittadini.
Tutte politiche che sono state implementate dalla maggior parte dei 27, con una percentuale minima del 74%. Ognuno di noi può contribuire a creare un’Europa più attiva e grande è il ruolo anche dei medici di base e degli specialisti di ogni ambito medico che devono favorire il cambio culturale.

Stefania Somaré