Protesi di spalla in pazienti con assenza di glenoide

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Tra agosto e settembre si è tenuto a San Diego, in California, il meeting annuale dell’American Academy of Orthopaedic Surgeons, al quale hanno partecipato specialisti di diverse realtà sanitarie statunitensi, tra i quali anche David M. Dines, chirurgo ortopedico dello sport del Hospital for Special Surgery (HSS) che ha parlato di come gestire un intervento di artroplastica di spalla in soggetti con carenza di osso glenoideo, conseguenza di un’artrosi particolarmente grave, di traumi o di un uso ripetitivo della spalla tipico di alcuni sport (come il nuoto) e di interventi chirurgici mal condotti.

David M. Dines

Rispetto a qualche anno fa, il numero dei pazienti con queste caratteristiche è aumentato e non si tratta solo di anziani ed è quindi necessario individuare soluzioni e metterle in pratica.
La mancanza dell’osso glenoideo, infatti, determina limitazioni funzionali e provoca dolore.
Che cosa occore fare in questi casi? Anzitutto, è importante saper utilizzare i più moderni strumenti di imaging e diagnosi per valutare al meglio il caso.

Occorre poi procedere a un attento planning e, ove possibile, effettuare simulazioni di intervento per essere perfettamente preparati al campo operatorio.
Infine, occorre avere pratica con la tecnica artroscopica e confidenza con gli impianti che, in taluni casi, è necessario personalizzare.

Alla sessione pratica condotta dal dott. Dines hanno partecipato come esperti anche chirurghi ortopedici nostrani, a riprova di quanto la nostra pratica sia avanzata in questo settore.
Durante la sessione il dott. Dines ha presentato due tecniche chirurgiche di innesto osseo: la “bony increased offset-total shoulder arthroplasty” (BIO-TSA) e la “bony increased offset-reverse shoulder arthroplasty” (BIO-RSA); questa seconda tecnica inverte la posizione dell’invaso e della palla per aumentare la stabilità dell’articolazione.
Queste tecniche sono da apprendere quando si voglia lavorare con pazienti che abbiano una riduzione dell’osso glenoide.

A seconda delle caratteristiche del paziente e della quantità di osso perso, il chirurgo deve essere in grado di utilizzare la tecnica migliore o anche l’impianto più adeguato: in alcuni soggetti può essere utile utilizzare un impianto potenziato, fatto di un ponte di metallo o polietilene o di un piatto metallico più ampio per sostituire l’osso perso.

Nei casi più gravi, può essere necessario utilizzare impianti specifici: in questo caso, si può utilizzare l’approccio VRS (vault reconstruction system) per la glenoide che, partendo da una scansione CT 2D o 3D permette di personalizzare al massimo l’impianto, rendendolo adeguato al singolo paziente.

Il dott. Dines assicura che «questo sistema funziona molto bene in pazienti con grave perdita ossea per artrite reumatoide avanzata oppure perché sottoposti a chirurgia oncologica. Utile anche in caso di revisioni».

Il sistema è già in uso presso l’ospedale newyorkese, tanto che il dottor Dines ha annunciato di voler presentare i primi risultati della sua applicazione entro un anno. Insomma, fino a qualche anni fa un paziente con perdita di osso glenoide non avrebbe potuto essere inserito in lista per un impianto protesico di spalla, di fatto dovendo gestire il dolore con farmaci e accettare la limitazione funzionale. Oggi la tecnologia e la ricerca permettono di intervenire anche su questi pazienti.

Stefania Somaré