Protesi di braccio controllata con tecnica TMR

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Si stima siano oltre tremila l’anno i casi di amputazione di arto superiore in Italia, a causa di patologie o eventi traumatici.
La protesica offre una nuova quotidianità, grazie all’evoluzione della tecnologia e a materiali sempre più performanti.
L’utilizzo di una protesi richiede, però, un percorso di preparazione e riabilitazione per imparare a usare l’arto artificiale e spesso anche un intervento chirurgico per stabilire i collegamenti neuromuscolari adeguati.
La tecnica TMR (Targeted Muscle Reinnervation, reinnervazione dei muscoli target per innesto di protesi) serve proprio a questo.

In Italia, il pioniere nell’uso di questa tecnica è il dott. Guido Staffa, neurochirurgo specializzato nella chirurgia del sistema nervoso periferico in forze al Maria Cecilia Hospital di Cotignola (RA). Negli ultimi quattro anni in Italia sono stati eseguiti sette interventi di TMR e circa cinquanta nel mondo.

Guido Staffa, neurochirurgo specializzato nella chirurgia del sistema nervoso periferico

«La tecnica TMR crea i presupposti per l’impianto protesico», spiega il dott. Staffa. «Anni fa ho fatto parte di un gruppo di studio sugli amputati.
Le protesi elettriche impiantate non venivano usate bene dai pazienti in quanto per eseguire il movimento specifico della protesi si devono contrarre muscoli, che però sono deputati a movimenti diversi: il cervello rifiuta di usare movimenti diversi da quelli per i quali è stato progettato.

Di qui l’idea di impiantare i nervi della parte residua all’amputazione su questi muscoli per ottenerne l’attivazione.
Si aggira così il limite umano, definito lo schema corporeo, ovvero la memoria del cervello che non è in grado di attivare naturalmente la protesi secondo quelle che sono le necessità».

Davide Dalpane

Un esempio è il caso del giovane Davide Dalpane, che ha subito un’amputazione del 3° prossimale di omero con disarticolazione a causa di un incidente in moto a 16 anni. Questo tipo di amputazione è particolarmente favorevole alla tecnica TMR e l’intervento è avvenuto a circa un anno di distanza dall’incidente per ridare funzionalità ai nervi che presentavano ancora una potenzialità.
L’équipe guidata dal dott. Staffa è parte dell’Unità Operativa di Neurochirurgia di Maria Cecilia Hospital, diretta dal dott. Ignazio Borghesi.

«Sono due i principali obiettivi della procedura: trattare il dolore cronico (neuroma doloroso o sindrome dell’arto fantasma), che spesso limita la qualità di vita, e porre le basi neuro-muscolari per l’impianto della protesi», spiega il dott. Marco Cancedda, del team di Neurochirurgia del Maria Cecilia Hospital, in sala operatoria per l’intervento insieme al dott. Borghesi e al dott. Staffa.
«L’intervento consiste nel liberare i nervi dalle aderenze cicatriziali post-traumatiche e collegare i nervi che controllavano la funzione dell’arto perso con muscoli della regione della spalla-petto.

Questi muscoli target funzioneranno poi come amplificatore di segnale per gli elettrodi della protesi. Essendo vie nervose che naturalmente comandavano i movimenti da recuperare, la TMR consente di migliorare il controllo della protesi e agevolare il percorso riabilitativo del paziente. Questa procedura eseguita su Davide è un’operazione di neurochirurgia ad alta complessità che viene svolta solo in alcuni centri in Europa».

Il muscolo reinnervato viene poi testato attraverso un processo di riabilitazione e uno studio fisiologico per applicare dei sensori che rilevano l’impulso elettrico da trasmettere alla protesi.
Il percorso per il paziente dura circa due anni, tra preparazione riabilitativa pre-operatoria, intervento, riabilitazione post-operatoria, follow-up e riabilitazione a lungo termine e addestramento all’uso della protesi.

«Dopo l’incidente desideravo una protesi funzionale. Il 4 dicembre 2021 mi sono sottoposto all’intervento di TMR e dopo pochi mesi ho visto i primi risultati», racconta Davide Dalpane. «A oltre un anno dall’operazione posso compiere gesti quotidiani con più facilità, come aprire una bottiglia d’acqua, reggere dei sacchetti, usare il tablet, trasportare un trolley.

Prima dell’incidente giocavo a pallavolo, passione che è proseguita giocando a sitting volley (pallavolo paralimpica). Mi sono iscritto all’università e studio per diventare professore di educazione fisica, con la speranza in futuro di poter dimostrare che la menomazione non è necessariamente un limite e che da un problema può derivare una nuova opportunità».