Protesi d’anca da stampa 3D

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Una delle principali cause di fallimento di una protesi di anca o di ginocchio è la mobilizzazione asettica, determinata principalmente dall’usura delle superfici articolari della protesi.
L’usura causa, infatti, la formazione di piccole particelle che vanno a posarsi sull’osso che circonda la protesi.
Tali particelle vengono “digerite” dal corpo, che però, nel processo, digerisce anche l’osso su cui si trovano.
Il risultato è che la protesi si allenta e il paziente può sentire dolore e comunque percepisce una certa instabilità.

In alcuni casi, inoltre, il processo di osteolisi è causa di indebolimento, se non di frattura dell’osso, il che può compromettere il successo della futura chirurgia di revisione.

Una paziente ferrarese di 70 anni con una grave situazione di mobilizzazione asettica della protesi dell’anca è stata sottoposta a un intervento di revisione che ha visto l’impianto di un modello costruito con stampanti 3D.

Il prof. Leo Massari, direttore della Clinica Ortopedica dell’Università e dell’Unità Operativa di Ortopedia dell’Ospedale di Cona (Ferrara), ha spiegato: «si è trattato di una paziente con esiti di lussazione congenita dell’anca, già più volte operata per re-impianti della parte del bacino della protesi (o cotile protesico) che presentava una nuova mobilizzazione con grave perdita di osso del bacino.
In questi casi un nuovo intervento di reimpianto (sostituzione del cotile protesico) deve necessariamente prevedere l’ancoraggio sull’osso residuo, ma in questo caso le protesi usualmente utilizzate non ce lo consentivano, pertanto abbiamo richiesto la collaborazione dei bioingegneri».

La paziente è stata così sottoposta a un esame Tac della zona da operare: da qui gli ingegneri hanno sviluppato una ricostruzione dell’anatomia alterata con la stampante 3D e hanno cercato possibili soluzioni.
Si è giunti all’impianto definitivo e all’intervento, che è stato comunque molto complesso.

A distanza di qualche mese, la paziente ha ripreso a camminare senza particolare dolore e con un’ottimale mobilità dell’anca.
Alla base di questo successo c’è senza dubbio la collaborazione tra diverse figure professionali: ortopedici e radiologi dell’AOU di Ferrara e i bioingegneri di una ditta italiana (LIMA Spa di San Daniele del Friuli), che hanno costruito le prime “prove” con stampanti 3D e poi, dopo discussione e confronto con il chirurgo, l’impianto definitivo in lega di titanio con tecnologia particolare delle polveri di titanio.

Conclude Massari: «è prevedibile che in futuro questo tipo di interventi, e di impianti custom made saranno sempre più usati, visto l’aumento del numero dei pazienti portatori di protesi articolari. Pertanto le collaborazioni interdisciplinari e interaziendali proseguiranno e si incrementeranno con sempre maggiore esperienza».

Stefania Somaré