In occasione di un evento organizzato dall’Associazione Italiana di Fisioterapia si è parlato di evidenza scientifica ed expertise del fisioterapista per offrire ai pazienti il miglior percorso terapeutico, fatto di riabilitazione e ascolto attivo volto a un supporto psicoemotivo e sociale.
Artrosi, mal di schiena, mal di testa, disordini temporomandibolari, dolori al ginocchio e tendinopatie: sono alcune delle patologie neuromuscoloscheletriche e reumatologiche che il fisioterapista può essere chiamato a trattare.
Nella maggior parte dei casi si tratta di patologie definite come biopsicosociali, dovute solo in parte alla presenza di una reale lesione o a un trauma e molto spesso cronicizzate o peggiorate da condizioni di stress, emarginazione sociale, paura e altro ancora.
Ne deriva che il paziente che si rivolge al fisioterapista per questi disturbi è spesso complesso e va trattato in maniera ottimale. Il rischio di non offrire un approccio a 360°, che tenga conto anche degli aspetti emotivi e sociali, è il fallimento terapeutico. Questi gli argomenti al centro dell’ultimo evento dell’Associazione Italiana di Fisioterapia (AIFI) a Roma, presso l’Università la Sapienza.
L’evento MOVE – Make opportunities to validate expertise è stato organizzato dal Gruppo di Terapia Manuale e Fisioterapia Muscoloscheletrica e patrocinato dall’Ordine dei Fisioterapisti del Lazio. Presenti relatori italiani e internazionali che hanno portato il proprio know-how, tra evidenze scientifiche ed expertise personale.
Spiega il dott. Mattia Bisconti, fisioterapista specialista in fisioterapia muscolo scheletrica e reumatologica e presidente del GTM: «durante il convegno ci siamo soffermati sulla complessità, sulle opportunità, sul fallimento e sulle possibilità di intervento nell’ambito della fisioterapia muscoloscheletrica.
Siamo partiti considerando la complessità dell’approccio alla persona per i fisioterapisti, individuando tutti quei fattori biologici, psicologici e sociali che possono portare anche a un fallimento della fisioterapia, per accedere poi alle opportunità dettate non solo dallo studio della letteratura scientifica ma anche dell’expertise propria del clinico, individuando quelle proposte che ogni clinico può sviluppare attingendo al proprio bagaglio personale di esperienze, in collaborazione con gli altri professionisti sanitari».
Un approccio corretto
Durante l’evento romano è andato delineandosi il corretto approccio ai pazienti con patologia neuromuscoloscheletrica. Un approccio fatto certamente di interdisciplinarità e apertura all’ascolto di altri professionisti sanitari per individuare il miglior iter per ogni singolo paziente e della capacità di tenere presente sfera biologica, ovvero lo stato di patologia e gli esercizi richiesti per il recupero funzionale, ma anche la sfera emotiva e sociale.
Nel primo caso ci si riferisce, per esempio, alla preoccupazione e alle ansie che il paziente può vivere, che richiedono validazione e assicurazione da parte del fisioterapista stesso: in presenza di dolore cronico muscolare non è infatti raro osservare dei peggioramenti in presenza di eventi particolarmente impattanti sulla sfera emotiva del soggetto, oppure in momenti di forte stress.
Per quanto riguarda l’ambito sociale, occorre tenere presente il contesto di vita del paziente: ci sono studi in letteratura che suggeriscono come l’appartenenza a un basso livello sociale, l’assenza di lavoro o la presenza di un lavoro poco apprezzato e così via possa favorire l’insorgenza del mal di schiena lombare nelle donne, per esempio.
Riprende Bisconti: «abbiamo dato spazio agli aspetti sociali ovvero al supporto sociale a cui può attingere la persona, le richieste di aiuto che può sentirsi di poter fare o che si vergogna anche di poter fare». E ancora: «il fisioterapista offre anche un sostegno rispetto ad aspetti psicoemotivi correlati al dolore e al movimento per far sì che la persona abbandoni le paure e le apprensioni legate al movimento, oltre a dare supporto necessario al reinserimento in attività sociali o ricreative, come ad esempio le uscite con gli amici, sospese proprio a causa del dolore o della disabilità. Le persone con mal di schiena o mal di testa, infatti, a volte non escono più di casa per paura di avere attacchi mentre sono in compagnia».
Ciò che serve, quindi, è un ascolto attivo, ovvero «un dialogo motivazionale basato sulla rassicurazione cognitiva della persona, individuando i punti critici legati al suo stato di sofferenza e andando poi a ristrutturarli con una strategia basata proprio sul movimento».
Il percorso terapeutico
Per quanto riguarda la struttura del percorso da mettere in atto, sempre personalizzato, lasciamo la parola al dott. Bisconti: «il/la fisioterapista opera attraverso una attenta valutazione delle necessità e dello stato di salute attuale del paziente e delle sue capacità residue. Attraverso un’anamnesi completa il fisioterapista individua eventuali fattori per cui c’è bisogno di rivolgersi a un medico specialista.
Si passa poi a un esame obiettivo e si utilizzano tecniche di terapia manuale volte ad alleviare il dolore nel breve tempo o a recuperare il range di movimento richiesto dalla persona, per poi passare a strategie di esercizio terapeutico per determinare, per esempio, un recupero della forza della persona, della resistenza o facilitare il recupero di un movimento perduto a causa del dolore o della limitazione funzionale».
In quest’ambito, i pazienti hanno mediamente tra i 30 e gli 80 anni, anche se la vita sedentaria sta incidendo negativamente anche sui più giovani, portando anche soggetti di 20-25 anni dal fisioterapista.