Osteoartrosi, una malattia di genere

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Osteoartrosi, una malattia di genereDalla ricerca arriva la conferma che l’osteoartrosi colpisce di preferenza donne. Sono allo studio di soluzioni di genere che permettano di fermare la degenerazione articolare.

Si parla sempre più spesso di medicina personalizzata e medicina di genere. Con il tempo, infatti, la ricerca sta scoprendo che il corpo della donna e quello dell’uomo funzionano in modo differente non solo quando sono sani, ma anche in presenza di una patologia e nella risposta alla terapia.

D’altronde è noto che nella donna gli ormoni funzionano con una ciclicità più marcata rispetto agli uomini e anche che questa ciclicità protegge il genere femminile da più di una malattia, almeno fino alla menopausa.

È proprio con l’arrivo della menopausa che la donna torna a essere bersaglio facile di alcune patologie, come l’osteoporosi, per esempio, che colpisce più donne che uomini.

Riccardo Gottardi

Bene, un ricercatore italiano, Riccardo Gottardi, da cinque anni nel team scientifico dalla Fondazione Ri.MED, sta dedicando la propria carriera scientifica allo studio dell’osteoartrosi e delle sue differenze di genere.

Più precisamente, lo studio di Riccardo Gottardi – finanziato da Ri.MED e condotto presso la Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh – esamina le differenze di genere riscontrabili nell’osteoartrite e nel danno articolare, con particolare attenzione all’interazione tra ormoni sessuali e cartilagine nelle donne in menopausa, categoria che presenta un’incidenza molto elevata della malattia.

Per l’impegno profuso in questo ambito e per le scoperte fino a qui già effettuate, Gottardi ha anche vinto il Premio 2016 Salute delle Donne Iris Klarman della Fondazione FWW – Fondazione For Women’s Wellness, ente statunitense che si occupa proprio di sostenere la ricerca scientifica per individuare le specificità di genere che influiscono anche sulla salute, con una maggiore incidenza di alcune patologie e una differente risposta alle terapie. Vediamo che cosa sta scoprendo Gottardi.

Il punto di partenza: lo sviluppo di un bioreattore ad hoc

«L’osteoartrosi», racconta Gottardi, «è una delle malattie croniche più comuni e una delle maggiori cause di disabilità negli anziani. In Italia, secondo i dati dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici, si calcola che questa patologia colpisca 4 milioni di soggetti, con costi associati di oltre 6,5 miliardi di euro.

L’osteoartrosi colpisce principalmente le articolazioni di mani e ginocchia, seguiti dall’anca e poi, in misura minore, dalle altre articolazioni.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 25% della popolazione sopra i 25 anni soffra di dolore e disabilità associati all’osteoartrosi e la percentuale delle persone colpite e la gravità della malattia crescono con l’età.

C’è poca differenza tra uomini e donne prima dei 50 anni ma, superati i 60 anni, le donne sono progressivamente più a rischio, fino a soffrirne il doppio degli uomini».

Il bioreattore sviluppato da Riccardo Gottardi

Altro dato in mano a Gottardi, all’inizio della sua ricerca, era che le terapie ormonali che risultavano ottimali per rallentare l’osteoporosi non lo erano e sono altrettanto nei confronti dell’osteoartrite.

Per capirne di più, Gottardi ha dovuto prima di tutto superare un ostacolo alla ricerca: il fatto che osso e cartilagine interagiscono tra loro così a fondo da rendere difficile la comprensione dei meccanismi di eziogenesi dell’osteoartrosi.

Ecco dunque che il ricercatore ha sviluppato un modello in vitro – già sottoposto a brevetto – per la generazione di cartilagine ingegnerizzata.

«Il modello in vitro che ho ideato replica da vicino le condizioni che si osservano in vivo negli esseri umani, permette di coltivare per lunghi periodi e in ambienti controllati i tessuti osteocondrali umani e supera la necessità di fare ricerca su cavie animali, che tra l’altro hanno un ciclo ormonale molto diverso da quello umano.

Grazie all’uso di questo bio-reattore siamo in grado di mantenere i tessuti in condizioni ideali anche per tempi prolungati in modo da poter simulare un ciclo ormonale nella sua interezza.

Soprattutto, siamo in grado di mantenere cartilagine e osso connessi, così come sono nel corpo umano e questo si è rivelato fondamentale perché i cambiamenti patologici maggiori che abbiamo osservato si sono verificati proprio all’interfaccia tra cartilagine e osso e non saremmo stati in grado di individuarli studiando i tessuti separatamente».

Il ruolo degli ormoni nell’osteoartrosi

«Le cause dell’osteoartrosi», prosegue Gottardi, «non sono purtroppo chiare. Traumi articolari così come fattori genetici e lo stile di vita hanno effetto sul suo sviluppo, anche se è spesso difficile identificare un’unica causa scatenante.

In generale, quando i pazienti iniziano ad accusare dolore, il danno è già a uno stadio abbastanza avanzato e il processo degenerativo può avere avuto inizio anche anni prima. Proprio per i tempi molto lunghi di questo processo, è difficile identificare i processi biologici che lo causano.

Una delle ricerche più ampie sulla salute delle donne, l’americana Women’s Health Initiative del National Institute of Health, ha però concluso che dopo la menopausa il rischio per le donne aumenti sensibilmente e questo suggerisce un ruolo importante degli ormoni nella protezione della cartilagine.

Quando questi vengono a mancare dopo una certa età, la cartilagine è meno protetta e ha un rischio maggiore di sviluppare l’osteoartrosi. Purtroppo la stessa ricerca ha anche evidenziato che le terapie ormonali sostitutive non sono in grado di ristabilire il livello di protezione della cartilagine che era presente prima della menopausa».

Una relazione simile tra menopausa e sviluppo di una patologia si ha con l’osteoporosi, come già accennato. Una somiglianza che non deve stupire, dal momento che osso e cartilagine sono così interconnessi nella loro funzione fisiologica.

Nonostante i risultati dello studio National Institute of Health a sfavore della terapia ormonale, Riccardo Gottardi ha sviluppato una propria idea: la terapia ormonale attuale non funziona perché è continuativa e non mima quello che avviene nel corpo della donna prima della menopausa. E proprio su questa ipotesi ha iniziato a lavorare il ricercatore.

Verso un terapia ormonale efficace

«Dalla nostra ricerca», sottolinea Gottardi, «sembra emergere che una modifica ai regimi di terapia ormonale sostitutiva potrebbe garantire maggiore protezione contro l’osteoartrosi.

A oggi estrogeno e progesterone vengono somministrati, in genere, in modo continuativo nel corso di un mese e questo è molto diverso da ciò che avviene durante un ciclo mestruale naturale prima della menopausa.

Stando a quanto abbiamo osservato, è probabile che invece una somministrazione di ormoni “alternata” – che simuli cioè maggiormente la sequenza del ciclo ormonale naturale – possa esercitare un’azione protettiva sulla cartilagine. Altri studi indicano che una somministrazione di ormoni “alternata” è in grado, inoltre, di causare meno effetti collaterali.

Adesso stiamo cercando di capire quale sequenza di ormoni sia ideale per garantire la massima protezione. Inoltre, se gli ormoni hanno effettivamente un ruolo di protezione della cartilagine articolare contro lo sviluppo dell’osteoartrosi, allora tutte le situazioni in cui il ciclo ormonale viene alterato richiedono particolare attenzione, specie se sono già in corso patologie articolari».

Al momento, quindi, Gottardi e il suo team stanno studiando la reazione del bioreattore a differenti cicli ormonali, per verificarne l’effetto sulle cartilagini. Una volta individuati i cicli più promettenti, sarà avviata la seconda fase della ricerca, in cui le sequenze ormonali dovranno essere testate in vivo, su maiali, perché sono gli animali con un ciclo ormonale più simile a quello umano.

«Considerando i costi elevanti dei modelli animali, oltre che le implicazioni etiche, il nostro modello in vitro risulta ancora più essenziale per identificare il migliore trattamento su tessuti umani prima dei test animali», evidenzia Gottardi. Grazie a questa ricerca, forse tra qualche anno sarà possibile limitare i danni dell’osteoartrosi che, oltre a colpire a livello fisico, porta con sé spesso anche isolamento sociale e sofferenza perché rende difficile la mobilità dei più anziani. O meglio, delle più anziane.

Studiare la cartilagine nello spazio

Gli studi per sviluppare terapie, che siano ormonali o meno, possono richiedere anche anni. A meno che non siano condotti in assenza di gravità.

Ecco perché il Casis-Center for the Advancement of Science In Space, ente spin-off della Nasa, offre l’opportunità alle ricerche più promettenti di essere svolte a bordo dell’International Space Station, dove in pochi giorni si possono osservare risultati che in condizioni normali richiederebbero anni.

Tra le ricerche selezionate nel 2016 vi è anche quella di Riccardo Gottardi sull’osteoartrosi. In orbita, Gottardi, ricercatore di Ri.Med, non studierà le terapie ormonali bensì gli effetti dei bisfosfonati sull’osteoartrosi utilizzando il bioreattore da lui stesso ideato.

Beatrice Arieti