Prima mano bionica: test di sei mesi su donna italiana

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Almerina, la donna amputata di mano che ha sperimentato la protesi robotica

Vi ricordate la serie televisiva l’Uomo da 6 milioni di dollari? Protagonista, il colonnello americano Steve Austin che, avendo perso in un incidente le gambe, il braccio destro e un occhio, si vede impiantare arti bionici e un occhio dotato di super vista.
All’epoca si pensava fosse fantascienza. Oggi lo è sempre meno.
Da qualche anno, infatti, il gruppo di ricerca di Silvestro Micera, dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Politecnico di Losanna, sta mettendo a punto una mano bionica, in grado cioè non solo di muoversi, ma anche di dare a chi la porta la percezione del tatto.
Una caratteristica eccezionale, perché sono proprio il tatto e la propriocezione a consentire di compiere movimenti fini e precisi con le mani. Senza queste due caratteristiche, i movimenti diventano grossolani e imprecisi.

Dal 2009 a oggi sono già stati effettuati cinque impianti di questa mano su altrettanti riceventi per verificarne l’effettiva efficacia.
L’ultima è stata una donna veneta, di nome Almerina (nella foto), che ha avuto il privilegio di sperimentare questa protesi robotica per sei mesi e, prima tra tutti, di utilizzarla anche al di fuori del laboratorio di ricerca.

«Almerina, che ha perso una mano quasi 25 anni fa, è andata al ristorante, ha raccolto fiori in un prato e ha compiuto altre azioni comuni in situazioni comuni», ha raccontato il professor Paolo Maria Rossini, ordinario di Neurologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Area Neuroscienze del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, che ha seguito la paziente. «Siamo sempre più vicini a realizzare una mano in tutto e per tutto simile a quella umana». Molto simile a quella indossata da Luke Skywalker nella celebre saga di Guerre Stellari.

Ciò che deve essere ulteriormente perfezionato è l’ingombro del computer che controlla i segnali provenienti dagli elettrodi inseriti nella muscolatura del ricevente e che dà ulteriori input.
Prima di Almerina tale parte di controllo era così grande da non permettere ai pazienti di lasciare il laboratorio. Ora ha le dimensioni di uno zaino.
Un risultato migliore ma ancora insufficiente, infatti ad Almerina la mano robotica è stata ora rimossa.
L’obiettivo è miniaturizzarla al punto da permettere un impianto a vita. Poi sarà necessario trovare aziende disposte a produrre il prototipo, rendendolo commercializzabile, e ad assicurare l’assistenza tecnica sia dal punto di vista meccanico sia dal punto di vista del software.

Stefania Somaré