Malattie reumatiche, da 0 a 100

Rigidità al risveglio, impaccio nei movimenti, zoppia, dolore ma non sempre: sono i sintomi principali che accomunano le malattie reumatiche più diffuse, partendo dai più piccoli con l’artrite idiopatica giovanile (incidenza di 1 a 1000), passando per gli adulti con l’artrite reumatoide (incidenza di 5 a 1000) per arrivare agli over 60 con l’artrite.

Sintomi comuni che richiedono forse un approccio diverso di trattamento, non più distinto per fasce d’età ma pensato per seguire l’individuo nelle diverse fasi della vita, per renderlo consapevole dell’importanza delle cure e per fornire le giuste informazioni cliniche e psicologiche.

“Da o a 100” è il progetto nazionale del Presidio Ospedaliero Gaetano Pini di Milano, il primo nel suo genere, che ha l’obiettivo di «prendere in carico i pazienti affetti da malattie reumatiche seguendoli con continuità clinica nella gestione e nell’accudimento del paziente dall’anno zero, appunto, fino all’età avanzata, nella stessa struttura ad alta specializzazione», spiega Roberto Caporali, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia Clinica dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano.
In questo progetto un ruolo ha anche l’Università degli Studi di Milano.

A beneficiare del progetto saranno soprattutto i giovani pazienti, che non dovranno più, raggiunta la maggiore età, cambiare riferimento di équipe e struttura, ma potranno continuare a essere trattati nello stesso ospedale.

Rolando Cimaz, responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia Pediatrica dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano ha sottolineato: «il ragazzo che diventa adulto di solito si trova spiazzato, perché per la sua malattia passa repentinamente dalla gestione dei genitori a una gestione più autonoma della malattia.
Anche le terapie posso cambiare, come i referenti, che di solito sono in un altro ospedale rispetto a quello di riferimento pediatrico, e sarà poi il medico di base, che non è sempre preparato in questo campo così specialistico, a diventare il nuovo “pediatra”.
Questa “rivoluzione” spesso porta a diagnosi ritardate (da 6 mesi a un anno e mezzo in media), ma anche all’abbandono delle terapie in atto».

C’è poi il discorso della diagnosi precoce, necessaria per evitare peggioramenti e invalidità permanenti, che al momento riguardano il 50% dei pazienti.

Presso l’ASST Gaetano Pini-CTO l’obiettivo è fare diagnosi entro 3 mesi.
Il progetto prevede l’istituzione di due team di lavoro, che però si coordinano tra loro e, insieme, possono fare ricerca.

Spiega ancora Caporali: «uno dei campi su cui concentreremo i nostri sforzi sarà proprio lo studio delle differenze e delle concordanze fra diverse età in campo terapeutico. Vogliamo anche capire perché le donne si ammalano di più, dato che non ci sono spiegazioni definitive: la teoria che si basa sugli assetti ormonali femminili è solo un’ipotesi, dobbiamo capire di più».

Infine, non meno importante, la continuità terapeutica permette di evitare le difficoltà psicologiche spesso associate al cambio di medico e specialista.

Caporali conclude: «l’artrite non è una conseguenza normale della vecchiaia. Si può fare molto per i sintomi, per il decorso di queste malattie e per la qualità di vita, soprattutto per l’artrite reumatoide.
Oggi abbiamo soluzioni terapeutiche nuove. Un intervento su questa patologia porterebbe vantaggi anche sulla spesa complessiva, che in Italia supera i 4 miliardi di euro l’anno, metà dei quali è la perdita di produttività per malattia sul lavoro.
L’artrite reumatoide è responsabile ogni anno di oltre 13 milioni di giornate di assenza dal lavoro, con un costo di circa un miliardo e mezzo l’anno (in perdita di produttività si sfiora il miliardo di euro)».

Stefania Somaré