Lateralizzazione di protesi inversa di spalla e deltoide, quale relazione?

sindrome spalla

Sempre più spesso in presenza di traumi che ledono seriamente la funzionalità della cuffia dei rotatori si sceglie di utilizzare una protesi inversa, che funziona grazie al movimento del deltoide. Alcune delle indicazioni per utilizzare questa protesi sono: artrosi eccentrica di spalla, traumi acuti negli anziani, tumori che colpiscono la cuffia dei rotatori, rottura massiva della cuffia stessa con risalita dell’omero e artropatia.

Di più recente ideazione rispetto alla protesi anatomica, quella inversa consente di ampliare l’indicazione alla protesi, ma presenta una serie di complicanze: la principale, che pesa per oltre i 44%, è lo scapular notching, che interviene a lungo termine.
In sostanza, il polietilene della protesi sfrega costantemente contro la scapola, venendone eroso, e la protesi diventa instabile. Ma non solo. Chi soffre di questa complicanza perde forza muscolare, prova dolore e vede ridursi la mobilità della spalla in abduzione e flessione.

Secondo alcuni autori, questo evento si verificherebbe in 2/3 dei pazienti a due anni dalla protesi inversa di spalla, un numero davvero elevato.

Secondo alcuni, per ridurre il rischio di incorrere nel notching è necessario individuare la posizione migliore per l’impianto e alcuni ne propongono una lateralizzazione a livello della sfera glenoidea.

Uno studio francese ha analizzato gli effetti di questa lateralizzazione sul momento del muscolo deltoide e sulla sua captazione nel movimento, dimostrando che la lateralizzazione non induce un aumento del momento del muscolo, ma ne favorisce di molto la captazione: sarebbe questo ultimo effetto ad aumentare la stabilità della protesi nel tempo e ridurre il notching.

Lo studio è preliminare e ha quindi coinvolto solo 8 pazienti: per ognuno gli autori hanno costruito un modello 3D di spalla basandosi su immagini prese a 6 mesi dall’intervento. Uno dei pazienti è stato poi eliminato dallo studio perché le immagini prodotte erano mosse e quindi inadeguate a costruire un modello 3D. Tutti i modelli sono stati utilizzati per valutare gli effetti di vari stadi lateralizzazione sul deltoide medio: gli autori hanno in particolare valutato una lateralizzazione di 0, 6, 9 o 12 mm.
Gli autori hanno anche valutato la solidità del metodo di costruzione dei modelli utilizzato, calcolandone l’accordo intra-modelli e inter-modelli, risultato in entrambi i casi superiore a 0,99.

È interessante osservare che gli impianti utilizzati nei pazienti che hanno partecipato allo studio hanno subito effetti differenti dalla lateralizzazione, probabilmente legati al loro design. Quindi, gli autori confermano che la lateralizzazione non incide sul momento del medio deltoide, come già illustrato in letteratura: la stabilità dell’impianto che ne deriva deve quindi essere legata alla maggiore captazione del muscolo. Un fatto che, sempre secondo gli autori, avrebbe ricadute positive in clinica: permetterebbe al paziente di sollevare pesi maggiori e ridurrebbe il tasso di dislocazione dell’impianto.

(Lo studio: Martinez L, Machefert M, Poirier T, Matsoukis J, Billuart F. Analysis of the coaptation role of the deltoid in reverse shoulder arthroplasty. A preliminary biomechanical study. PLoS One. 2021 Aug 18;16(8):e0255817. doi: 10.1371/journal.pone.0255817. PMID: 34407093; PMCID: PMC8372985)

Stefania Somaré