La sospensione dell’attività chirurgica in elezione dei mesi scorsi ha pesantemente allungato le liste d’attesa. In fase 3, con l’ulteriore modulazione dei servizi, si rischia di non riuscire a smaltirle.

La pandemia da Covid-19 ha creato uno stravolgimento senza precedenti nelle capacità assistenziali delle strutture sanitarie italiane e l’impatto sui reparti di Ortopedia e Traumatologia nella fase 1 è stato tale da azzerare le attività assistenziali in elezione oltre a quelle ambulatoriali.
Le ripercussioni di questo lockdown sanitario non si sono fatte attendere.

Benché con la fase 2 la sanità pubblica abbia gradualmente ripreso l’erogazione dei servizi – anche se le difficoltà non mancano, a seguito della rimodulazione degli stessi e della ridotta capacità assistenziale degli ospedali legate alle misure anti-Covid – prioritario è ora il problema dello smaltimento delle liste d’attesa.

Francesco Falez, presidente SIOT

Senza un cambio di passo, i tempi d’accesso alle cure rischiano di dilatarsi in maniera significativa con notevoli disagi per i pazienti, aggravi di costi e sul sistema produttivo del Paese.
Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Falez, presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia.

Senza chirurgia d’elezione per due mesi

Nei mesi di marzo e aprile i presidi ospedalieri italiani, soprattutto nel Nord Italia, hanno vissuto un’emergenza sanitaria senza precedenti a causa dell’infezione da Covid-19.
Sebbene i reparti di ortopedia non abbiano operato in prima linea nella pandemia, sono stati comunque stravolti con un dirottamento delle risorse verso le aree di maggiore criticità.

«Il personale sanitario dei reparti di ortopedia è stato chiamato “al fronte”, gli ortopedici si sono trasformati in quelli che sono stati ribattezzati “orto-pneumologi”», ricorda il professor Falez. «In altre parole, gli ortopedici hanno appreso pratiche anche invasive di tipo pneumologico.

Questo ha richiesto addirittura la modifica delle clausole di copertura assicurativa che non prevedevano di fatto queste manovre.
Per garantire risorse adeguate all’assistenza dei pazienti Covid, le attività assistenziali, per disposizione ministeriale, sono state modificate rinviando tutte le attività in elezione e garantendo solo la chirurgia d’urgenza.

Questo ha influenzato in maniera significativa il percorso dei malati non Covid e il conseguente allungamento dei tempi d’attesa per l’accesso alle cure potrà avere ripercussioni sul loro stato di salute.

In molti casi si tratta di pazienti relativamente giovani – il 55-60enne in attesa di artroprotesi, per esempio, i quali dovranno ritardare sensibilmente il loro ritorno all’attività lavorativa con aggravi non trascurabili per la capacità produttiva del nostro Paese».

La graduale ripresa dell’attività assistenziale

Con la fase 3, la chirurgia di elezione è gradualmente ripartita nei reparti di ortopedia e traumatologia.
La SIOT, a questo proposito, ha proposto di best practice, delle raccomandazioni di comportamento basate sull’evidenza scaturite dalla traduzione e dall’adattamento di un documento emanato dalla McMaster University e dal suo gruppo OrthoEvidence, da parte di Globe, che da oltre 20 anni promuove in ambito SIOT la cultura dell’evidence based medicine.

«Queste raccomandazioni rappresentano una sorta di canovaccio che dovrà essere adattato alle diverse realtà locali. Esse consentono di gestire al meglio l’ammissione dei pazienti fratturati e dei pazienti in elezione, quando effettuare il tampone, quando procedere al ricovero, i tempi di degenza, gli accertamenti da effettuare in fase preparatoria.
Best practice che riguardano la traumatologia, ma principalmente la chirurgia di elezione», spiega il professor Falez.

Gli interventi in elezione sono quindi ripartiti, anche se le difficoltà sono molteplici.
Il distanziamento sociale, la sanificazione, i tamponi, l’accesso alla sala operatoria, le norme per l’ammissione in struttura dei pazienti, sono solo alcune delle criticità da affrontare.

«Molti sono i problemi in questa ripresa dell’attività assistenziale, non ultima quella della riduzione dei posti letto disponibili che porterà a un ulteriore aggravamento del problema delle liste d’attesa», precisa il professor Falez. «È vero abbiamo vissuto un’emergenza sanitaria senza precedenti alla quale non eravamo preparati, abbiamo per questo chiuso tutti gli ospedali e l’Italia. Sono delle scelte sulle quali non posso e non voglio entrare in merito, però la fase 3 deve sancire un’effettiva ripartenza, non possiamo continuare a vivere in questa fase di allerta che porta a trascurare le persone in attesa di ricevere delle cure».

Cambio di passo necessario

Serve quindi un cambio di passo per non amplificare ulteriormente i gravi problemi assistenziali creati dal Covid-19.
«La riduzione dell’erogazione dei servizi ospedalieri è attualmente del 30%. Se in tempi pre-Covid c’era un affollamento, oggi c’è un distanziamento sociale e una modulazione dell’offerta, delle prestazioni», ammette il professor Falez.
«Si tratta quindi di trovare dei modelli alternativi a quelli utilizzati in passato per risolvere il problema dello smaltimento delle liste di attesa.

A ulteriore aggravio di tale situazione, c’è la limitata mobilità interregionale: i pazienti che in passato da diverse parti d’Italia accedevano negli ospedali delle regioni virtuose del Nord Italia, in particolare la Lombardia, oggi trovano due ostacoli: il primo psicologico perché il paziente al quale viene consigliato di recarsi in un ospedale del Nord mostra più di una reticenza; secondo perché la capacità ricettiva di queste strutture è penalizzata dalla riduzione dei posti letto, essendo parte di questi dedicati a pazienti Covid».

L’interazione tra pubblico e privato

Quali potrebbero essere i modelli alternativi di gestione della fase di post emergenza?
«Serve una maggiore interazione tra sanità pubblica, sanità privata e sanità privata accreditata, per risolvere il problema dello smaltimento delle liste d’attesa», spiega il professor Falez. «Per fare una metafora, oggi, a seguito del distanziamento sociale, vediamo lunghe code alle fermate della metropolitana.

Come potrebbe essere risolto questo problema? Attraverso l’incremento del numero dei vagoni ferroviari e del numero delle corse. Analogo è il caso della sanità dove non è pensabile ripartire attraverso la medesima offerta.

È necessario, ampliarla, creando una strategia di collaborazione, di convergenza tra pubblico e privato che sia produttiva da una parte e garantista dall’altra; creare degli schemi collaborativi nuovi tra pubblico e privato, realtà che fino a ora si sono guardate in maniera distaccata.
Come SIOT abbiamo lanciato delle proposte in tal senso e alcune regioni le stanno portando avanti creando delle collaborazioni».

Una nuova recrudescenza?

Se l’emergenza Covid-19 è rientrata, rimane ora lo spettro di una recrudescenza dell’infezione in autunno.
«Nel caso si verificasse, probabilmente non sarà così grave come quella che abbiamo vissuto tra marzo e aprile», conclude il professor Falez.

«Oggi siamo più competenti contro il virus, consapevoli dell’importanza della cura precoce al fine di evitare la condizione di insufficienza respiratoria grave.
Siamo più preparati e attenti, non bisogna però trasformare questa maggiore attenzione in un persistere della penalizzazione nei confronti di pazienti con altre patologie.
Dobbiamo trovare la giusta misura tra il mantenere alta la guardia e riprendere la cura di tutti gli ammalati».

Roberto Tognella