Limiti delle ortesi AFO nella paralisi cerebrale infantile

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In Italia la paralisi cerebrale infantile (PCI) colpisce circa 1 bambino ogni 500 nati, portandogli disabilità motorie e posturali, ma non solo. Accanto a condizioni di ipotonia o spasticità muscolare, di difficoltà di deambulazione, di atassia e di tremori e movimenti involontari, si possono manifestare problemi di incontinenza, vista, deglutizione, parola e apprendimento.

In alcuni casi si può parlare anche di un ritardo cognitivo. Spesso le difficoltà motorie di questi pazienti vengono affrontate con tutori di piede-caviglia (AFO) perché permettono di gestire la debolezza della gamba e la postura del piede, che tende a cadere. Anche se negli anni la tecnologia ha permesso di produrre AFO sempre più personalizzati sulle caratteristiche del singolo paziente con PCI, i risultati ottenuti non sono ancora ottimali. Per questo un team di ricerca composto da professionisti spagnoli e olandesi ha condotto uno studio esplorativo per individuare le attuali limitazioni degli AFO e promuovere soluzioni per una progettazione ancora più personalizzata di questi dispositivi.

Due le tipologie di soggetti coinvolti: professionisti che lavorano con la PCI (96) e pazienti con PCI (36), che hanno ricevuto un questionario online specifico, appositamente sviluppato basandosi su indicazioni di tecnici, professionisti di varie istituzioni e un po’ di letteratura.

Le risposte date dai professionisti coinvolti rivelano che oltre il 50% ritiene manchino indicazioni per poter decidere quale sia l’AFO migliore per un dato paziente. Non solo. Quasi l’80% è convinto che il paziente abbia performance di passo differenti in ambulatorio rispetto che a casa, il che può influenzare negativamente la scelta dell’AFO. Ampliando questo concetto, la quasi totalità dei partecipanti è convinta di poter lavorare meglio se avesse un report di utilizzo dell’AFO nella quotidianità del piccolo paziente. Che cosa hanno riferito, invece, i soggetti con PCI? Ciò che risulta evidente è che sono disposti a utilizzare un dispositivo che li faciliti nel movimento, anche per poter avere maggiori interazioni sociali.

Entrambe le categorie concordano nel dire che il dispositivo dovrebbe essere facile da mettere e togliere, comodo quando indossato e anche bello da vedere. Ci sono però ambiti in cui le due categorie non concordano. Il primo riguarda la funzionalità del tutore, che secondo gli specialisti dovrebbe adattarsi a ogni tipo di terreno, mentre per i pazienti dovrebbe consentire di camminare normalmente e a una velocità normale.

Infine, i professionisti sono convinti che il sistema debba essere particolarmente semplice, senza richiedere sforzo mentale al paziente… invece per gli utenti finali questo aspetto è meno importante. Tirando le somme, gli AFO dovrebbero essere progettati tenendo conto anche delle esigenze del paziente e perfezionati secondo le sue prestazioni reali a casa, fuori da un contesto ambulatoriale: a tal fine si potrebbe pensare di dotarli di sensori adeguati. Secondo gli autori, si potrebbero inoltre prendere in considerazione gli esoscheletri, purché si riesca a renderli più leggeri, meno voluminosi, più comodi e sicuri. Pubblicato su “Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation”, questo lavoro offre spunti interessanti.

(Lo studio: Bayón, C., Hoorn, M.V., Barrientos, A. et al. Perspectives on ankle-foot technology for improving gait performance of children with Cerebral Palsy in daily-life: requirements, needs and wishes. J. NeuroEngineering Rehabil 20, 44 (2023). https://doi.org/10.1186/s12984-023-01162-3)