Infezione periprotesica e uso di materiali bioattivi

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L’infezione periprotesica è tra le peggiori complicanze dell’artroplastica, indipendentemente dall’articolazione coinvolta.
Concorre agli eventi più infausti anche l’antibiotico resistenza, che rende difficile trattare alcuni dei casi di infezione periprotesica. Tra i ceppi in grado di generare un’infezione periprotesica ci sono batteri multiresistenti, come Staphylococcus aureus meticillino-resistente, stafilococchi coagulasi-negativi meticillino-resistenti, Enterococchi vancomicina-resistenti, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter baumannii multiresistenti. Sembra chiaro, dunque, che oltre a individuare strategie terapeutiche efficaci, occorre lavorare sulla prevenzione, non solo in termini di percorso perichirurgico.

Uno studio condotto da un team cinese riassume lo stato dell’arte dell’uso di materiali bioattivi per proteggere le superifici protesiche dalla colonizzazione batterica: questi, sottolineano gli autori, hanno il vantaggio di essere più biocompatibili e meno tossici rispetto ad altre soluzioni testate nel tempo.

Si parla, per esempio, di aggiungere al cemento PMMA comunemente utilizzato negli interventi sostanze come il γ-metacrilossipropiltrimetossisilano, che dona qualità biologiche, e il 2-(tert-butilamino) ethil metacrilato, che fornisce attività antibatterica. Questa procedura è stata sperimentata da un team giapponese (doi: 10.1177/08853282211004413) nel 2021, che ne ha dimostrato l’efficacia in particolare contro i batteri GRAM+, come E. coli.

Altri autori si sono invece concentrati su cementi ossei acrilici (ABC), addittivandoli con chitosano e ossido di grafene, ottenendo un cemento stabile dal punto di vista termico, con attività antibatterica e osteogenica (doi: https://doi.org/10.3390/ijms20122938). Certo, al momento siamo a livello di sperimentazione in laboratorio, ma i biomateriali sono sempre più studiati in questo settore.

Andando avanti nella loro presentazione, gli autori si soffermano sullo sviluppo di materiali antibatterici da utilizzare come rivestimento della superficie protesica. Tra questi ci sono l’argento nano, capace di rilasciare ioni di argento più a lungo dell’argento metallico e in modo più graduale, l’ossido nitrico, inserito in miscele che lo rendono stabile e quindi controllabile, la baicaleina, sostanza di origine vegetale con proprietà antibatterica, aggiunta all’idrossiapatite… e tante altre ancora.

Un’altra alternativa testata, ancora neonata, è quella di utilizzare sostanze sulla superficie delle protesi che impedisca ai batteri di aderire. I pochi studi sin qui disponibili confermano che alcune sostanze riescono a sfavorire la colonizzazione batterica, di fatto prevenendo l’insorgere di una infezione periprotesica. Lo studio dedica poi ampio spazio ai vetri bioattivi, utilizzati come carrier di sostanze di vario genere, da quelle antimicrobiche a veri e propri antibiotici che possano essere poi rilasciati lentamente nell’ambiente periprotesico.

Altro sistema carrier sperimentato coinvolge gli idrogel, utili anche per avvertire dell’avvenuta infezione: se opportunamente formulati, infatti, questi gel possono reagire alle variazioni di pH che sembrano associarsi con la protesi infetta. Altra forma di diagnosi “rapida” potrebbe essere affidata a molecole fluorescenti. Infine, i materiali biologici potrebbero essere di supporto alle terapie di infezioni già esistenti, rinforzando l’azione antibiotica o trasportandoli in situ.

(Lo studio: Xie H, Liu Y, An H, Yi J, Li C, Wang X, Chai W. Recent advances in prevention, detection and treatment in prosthetic joint infections of bioactive materials. Front Bioeng Biotechnol. 2022 Nov 10;10:1053399. doi: 10.3389/fbioe.2022.1053399. PMID: 36440438; PMCID: PMC9685530)

Stefania Somaré