Le fratture di omero prossimale sono tra le più frequenti fratture da fragilità, con un’incidenza in costante aumento. Alcune di queste fratture devono essere trattate per via chirurgica, ma molte altre possono essere gestite per via conservativa.
A quest’ultime è dedicato uno studio (Study on proximal humerus evaluation of effective treatment (SPHEER) – what is the effect of rehabilitation compliance on clinical outcomes of proximal humerus fractures) condotto a Singapore.
In particolare, i ricercatori hanno cercato di capire quale sia l’importanza effettiva dell’aderenza terapeutica al regime riabilitativo per gli outcome raggiunti nel breve (3 mesi) e medio termine (1 anno) dalla frattura, ma non solo. Il lavoro mette in luce alcune ragioni sottese alla non aderenza, così da poterle lavorare.
Quale strumento usare per misurare l’aderenza?
La prima domanda a cui i ricercatori hanno dovuto dare risposta è quale strumento utilizzare per misurare l’aderenza riabilitativa. La conclusione è di servirsi di 2 misure auto-riportate dai pazienti, ovvero:
- l’aderenza soggettiva percepita dal paziente relativa all’attenzione verso l’esercizio assegnato e alla sua correttezza;
- la frequenza media con cui si sono svolti gli esercizi prescritti a casa.
Le risposte sono state, quindi, tradotte in numeri su una scala da 0 a 5 per poterle analizzare statisticamente. Sono stati inclusi nello studio 107 pazienti, tutti con un anno di follow up. Oltre alle 2 scale indicate dai pazienti, lo studio ne usa una terza, oggettiva, la Sport Injury Rehabilitation Adherence Scale (SIRAS).
L’aderenza sembra migliorare gli outcome
Ciò che si osserva, innanzitutto, è che le valutazioni dell’aderenza offerte dai pazienti sono per lo più in linea con la scala SIRAS: per fare un esempio, i pazienti riportano una compliance soggettiva di 3.93/5 a 6 settimane dalla frattura, valore che scende a 3.69/5 a 3 mesi.
I valori di SIRAS scendono da 1061/15 a 6 settimane a 1039/15 a 3 mesi, un discorso simile si può fare per la frequenza di allenamento. Ciò indica che le risposte offerte sono reali e affidabili.
Gli autori hanno anche potuto verificare che l’aderenza al percorso riabilitativo nel periodo che incorre dalle 6 settimane post frattura ai 3 mesi è predittivo dei miglioramenti clinici che il paziente avrà nei 3 mesi, in termini di ROM articolare e di Constant Score e OSS. Non è certo se ciò si ripercuote anche a 1 anno dalla frattura: al momento non si sono trovati esiti significativi.
Gli autori trovano una spiegazione a questi numeri: man mano che il tempo passa, i pazienti hanno sempre meno costanza con gli esercizi riabilitativi, per lo più perché non vedono miglioramenti effettivi nell’articolazione e non hanno, quindi, un obiettivo da perseguire.
Tuttavia, la riabilitazione sul lungo periodo serve per mantenere la funzionalità raggiunta nelle prime settimane: sarebbe quindi meglio se i pazienti continuassero a esercitarsi. Vediamo allora quali sono gli ostacoli che inducono i pazienti a non essere aderenti al percorso riabilitativo.
Come aumentare l’aderenza terapeutica?
Tra le principali ragioni per non rispettare il percorso fisioterapico c’è senza dubbio il dolore, sottolineato tanto da pazienti quanto da fisioterapisti. Questi ultimi sottolineano poi difficoltà nel ritagliarsi il tempo per gli esercizi e difficoltà cognitive che minano l’apprendimento della sequenza. I pazienti sottolineano anche la dimenticanza come fattore di ostacolo.
Conoscere questi aspetti può favorire l’implementazione di strategie risolutive, come per esempio ricordare ai pazienti di fare la propria fisioterapia o introdurre protocolli per la riduzione del dolore articolare.
(Lo studio: Nah, M.F.K., Pereira, M.J., Hemaavathi, M. et al. Study on proximal humerus evaluation of effective treatment (SPHEER) – what is the effect of rehabilitation compliance on clinical outcomes of proximal humerus fractures. BMC Musculoskelet Disord 24, 778, 2023)