Fragilità ossea, machine learning per migliorare la lettura dei dati

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Con l’invecchiamento della popolazione globale e il cambio di stili di vita verso abitudini più sedentarie si sta assistendo a un aumento dei pazienti con fragilità ossea, condizione che può essere favorita anche da alcune terapie farmacologiche. In ogni caso, questi pazienti hanno un rischio maggiore degli altri di incorrere in fratture. Soprattutto dopo una certa età, le fratture si associano con un alto tasso di mortalità e con disabilità e altre morbidità.
Dati del Ministero della Salute evidenziano come la frattura di femore, per esempio, sia causa di morte nel 5% dei casi nei giorni successivi all’evento e nel 15-25% dei casi entro un anno dallo stesso.

Inoltre, tra i pazienti che si fratturano il femore, il 20% non riprende a camminare in modo autonomo. A conti fatti, solo il 30-40% di questi pazienti torna alle condizioni pre-trauma.
Il problema non è da sottovalutare, dato che si stima che circa il 40% della popolazione globale incorrerà in una frattura di femore nel corso della vita, soprattutto dopo i 65 anni.

Inoltre, sebbene la frattura di femore sia quella che porta le conseguenze più gravi, non è la sola a colpire i soggetti con osteoporosi, che tendono a fratturarsi anche la spalla, il polso e le vertebre.
Tra le azioni preventive le fratture da fragilità c’è l’individuazione dei soggetti a rischio, così da poter avviare percorsi di cura farmacologica dell’osteoporosi e di riabilitazione da una parte e introdurre alcune accortezze negli ambienti in cui vivono.

L’assorbimetria a raggi x a doppia energia (DXA) è una delle tecniche utilizzate per valutare la densità minerale ossea e, quindi, la presenza di osteoporosi. Non è l’unica tecnica disponibile, però. Più di recente è stata introdotta anche la tomografia computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione (HR-pQCT) che delinea anche l’architettura ossea in 3D alle estremità del corpo del paziente.

Uno studio britannico suggerisce di utilizzare un modello di machine learning per interpretare al meglio i dati offerti dalla HR-pQCT, permettendo così di identificare i soggetti più a rischio di frattura tra quelli già segnalati dalla densità ossea calcolata con la DXA.
Più in dettaglio, gli autori hanno coinvolto 345 pazienti di età compresa tra 76 e 97 anni, tra i quali il 28% già con storia di frattura.

Una volta misurati in peso e altezza, i soggetti sono stati sottoposti a scansione HR-pQCT della tibia distale non dominante e a DXA. Gli esiti dei due esami sono stati quindi inseriti in un algoritmo random forest già esistente, insieme all’età, il genere, l’altezza, il peso, il BMI, la densità ossea della testa del femore e il calcio assunto con la dieta.

Questa aggiunta consente di migliorare l’interpretazione dei dati, portando da 0.71 a 0.90 l’area sotto la curva. Il metodo risulta, inoltre, avere una sensibilità del 83% e una specificità del 74%. Secondo gli autori, l’uso di questo algoritmo rende più accessibili i dati offerti dalla HR-pQCT, di fatto consentendone un maggior uso in clinica. Tre le Università coinvolte: Southampton, Bristol e Oxford.

(Lo studio: Lu S, Fuggle NR, Westbury LD, Breasail MÓ, Bevilacqua G, Ward KA, Dennison EM, Mahmoodi S, Niranjan M, Cooper C. Machine learning applied to HR-pQCT images improves fracture discrimination provided by DXA and clinical risk factors. Bone. 2022 Dec 26:116653. doi: 10.1016/j.bone.2022.116653. Epub ahead of print. PMID: 36581259)

Stefania Somaré