Le fratture da fragilità ossea sono un problema di salute pubblica destinato ad aumentare, dato che cresce con l’aumentare dell’età media della popolazione. Si stima che dopo i 50 anni più del 30% delle donne e del 20% degli uomini andrà incontro a una frattura da fragilità.
Il modo migliore per agire su questo problema è la prevenzione, di carattere primario e secondario: quest’ultima richiede però di individuare i soggetti con fragilità ossea per poterli trattare in modo opportuno. Eppure, solo 514 milioni di euro dei 9,4 miliardi investiti annualmente nel nostro Paese per gestire queste fratture viene dedicato alla prevenzione.
La situazione è quindi delicata. Cittadinanzattiva ha quindi deciso di promuovere una indagine online, inviando questionari a cittadini, medici di famiglia e referenti regionali di sei Regioni, Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Puglia, Sicilia. Obiettivo: capire qual è il livello di conoscenza del problema dei soggetti interpellati, dato importante per impostare il percorso successivo. 509 i questionari restituiti.
I risultati sono stati poi presentati durante il XV Congresso Ortomed, quando Annalisa Mandorino, vicesegretaria generale di Cittadinanzattiva, ha dichiarato: «la prevenzione delle fratture da fragilità ossea è una delle priorità identificate già da tempo dal Ministero della Salute ed è arrivato il momento di mettere in campo tutte le azioni possibili per migliorare la qualità di vita dei pazienti ed evitare ulteriori aggravi per il SSN.
Il primo passo è quindi di rendere operativo il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per la gestione della persona con frattura da fragilità, realizzato da Cittadinanzattiva. Il percorso delineato ha come obiettivi quelli di giungere a una diagnosi precoce, fare in modo che le fratture da fragilità ossea vengano identificate in maniera appropriata e al momento giusto, con un codice identificativo, fare in modo che vi sia una effettiva presa in carico del paziente con la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti nell’intero percorso per il miglioramento della qualità della vita, favorire e potenziare la continuità assistenziale, coinvolgere e informare il paziente per uno stile di vita sano e una costante aderenza terapeutica, sia farmacologica sia riabilitativa».
I risultati dell’indagine hanno evidenziato una conoscenza abbastanza buona della popolazione: ben l’84,5% dei rispondenti sa che la fragilità ossea può colpire sia uomini che donne, dai 50 anni.
Per quanto riguarda le cause del problema, il 92,9% indica l’osteoporosi, il 53% l’età, il 49,3% l’avere una patologia cronica, il 45% assumere farmaci, il 25,7% un fattore ereditario e il 17,9% il sesso. Inoltre, l’82,5% è consapevole che la fragilità ossea si può prevenire.
Alla domanda “come?”, le risposte sono varie, ma per lo più corrette o attinenti al tema: con l’attività fisica (87,4%), assumendo vitamina D (86,2%), mangiando in modo sano (71,7%), assumendo calcio (63,8%), evitando fumo e alcol (50,5%), assumendo farmaci specifici (31%), facendo riabilitazione per prevenire le fratture (17,6%).
La riabilitazione, in particolare, è riconosciuta come utile dal 77,6% dei rispondenti. Alta anche la percentuale (77%) di chi vede nella telemedicina un valido aiuto per stare in contatto con il medico curante, sia nel centro specialistico che sul territorio, per effettuare i follow-up relativi alla patologia stessa e monitorare l’aderenza terapeutica. Questo è infatti un aspetto essenziale del percorso di cura dei soggetti con fragilità ossea.
Le percentuali scendono invece quando si chiede ai partecipanti se hanno ricevuto o meno informazioni: il 38,7% dei rispondenti ha dichiarato di aver ricevuto informazioni di base sulle fratture da fragilità, per lo più dal medico specialista (61,9%), poi dal medico di medicina generale (33,5%), dai programmi televisivi (29,4%), associazioni (28,4%), internet (25,9%), da campagne di sanità generale (23,9%) e conoscenti (7,1%).
Il vissuto dei partecipanti che hanno già subito una frattura da fragilità racconta di percorsi non omogenei sul Paese, soprattutto per quanto riguarda le terapie farmacologiche. Infatti, solo al 55,4% è stata prescritta una terapia farmaceutica associata alla vitamina D.
Inoltre, il 58,8% cui è stata prescritta una terapia riabilitativa racconta di avere riscontrato difficoltà burocratiche nel farla attivare.
L’indagine ha coinvolto anche medici di medicina generale: questi hanno evidenziato alcuni punti per loro importanti, come l’invio del paziente a uno specialista per una gestione condivisa della fragilità e l’utilità di poter sapere come è avvenuta la frattura, magari tramite un apposito codice assegnato dal reparto ospedaliero.
Stefania Somaré