Nel corso del 52° congresso nazionale Sumai Assoprof si è parlato molto di fragilità ossea, una delle sfide con cui i medici di medicina generale hanno a che fare nella loro attività quotidiana. È stata sottolineata la necessità di seguire i pazienti in modo integrato, coinvolgendo specialisti e medicina di territorio.
Questa collaborazione può essere a doppio ingresso.
Può esserci il caso del paziente fragile che, visitato dallo specialista, riceve la terapia e viene rimandato al medico di base, che deve favorirne l’aderenza terapeutica.
Oppure può presentarsi la situazione opposta: il medico di base può identificare i pazienti a rischio di fragilità ossea e inviarli allo specialista per iniziare le terapie. Esistono infatti trattamenti farmacologici, come le terapie cortisoniche o anti-ormonali, che incidono negativamente sulla salute dello scheletro.
Luisella Cianferotti della Federazione Italiana Ricerca Malattie dell’Osso ha sottolineato: «lo specialista ha un ruolo importante ma molte delle fratture da fragilità arrivano al medico di medicina generale, al medico del territorio o agli specialisti ambulatoriali che, da una parte possono avviare il trattamento, e dall’altra possono far proseguire i programmi di cura iniziati in ospedale».
Anche se comunemente si è portati a pensare alla rottura del femore come conseguenza della fragilità ossea, questo non è l’evento più frequente, anche se è quello che dà maggiore risonanza, perché richiede un intervento di chirurgia ortopedica.
A fronte di 90.000 fratture del femore, ogni anno vi sono infatti ben 270 mila fratture di vertebre legate alla fragilità ossea.
Luigi Sinigaglia, presidente della Società Italiana di Reumatologia, ha confermato: «le fratture vertebrali possono intervenire spontaneamente, senza nessun trauma. Se ne contano circa 270 mila, però bisogna tenere conto che queste fratture sono molto spesso sotto-diagnosticate e ci sono casi che sfuggono perché questi pazienti vengono scambiati per soggetti con un banale mal di schiena.
Non viene fatta una radiografia appropriata, pertanto molte fratture non vengono registrate. E sono anche difficili da registrare perché non vengono ricoverate e non necessitano di intervento chirurgico.
Poi ci sono altre fratture difficilmente quantificabili ma molto frequenti, come quella del polso, che sono forse le prime fratture nell’ambito della storia naturale dell’osteoporosi e che interessano maggiormente il sesso femminile».
Stefania Somaré