Epicondilite laterale, efficacia della terapia peloide

L’epicondilite, anche nota come gomito del tennista, può colpire anche persone che non hanno mai praticato questo sport, ma che svolgono attività che richiedono sforzi di presa manuale e di prono-supinazione dell’avambraccio ripetuti nel tempo.

L’incidenza è di 1-3%. Il paziente medio ha tra i 40 e i 50 anni e non è sufficientemente allenato a sostenere gli sforzi richiesti al proprio gomito, tant’è che la prevenzione di questo fastidioso disturbo comprende anche sessioni di stretching specifico, oltre che di rinforzo, per i muscoli del braccio.

La riabilitazione è, insomma, una delle vie terapeutiche di maggior successo nel trattamento dell’epicondilite, anche se in fase acuto può essere necessario utilizzare farmaci antinfiammatori e ghiaccio. Utili, anche se non nel lungo termine, anche le creme antinfiammatorie ad azione locale. Esistono però altre vie da affiancare alla fisioterapia per migliorare gli outcome clinici: una è l’uso dei fanghi termali e l’altra è l’applicazione del taping kinesiologico.

I due metodi sono stati messi a confronto da un team turco, afferente in particolare al Konya City Hospital (Konya) e al Gulhane Training and Research Hospital (Ankara). Pubblicato su “Controlled Clinical Trial”, il lavoro ha coinvolto 156 pazienti con epicondilite laterale cronica, divisi in tre gruppi: di controllo, di studio 1 e di studio 1.

I soggetti del gruppo di controllo sono stati trattati con un programma di esercizi a domicilio e con la terapia del ghiaccio. Nel gruppo di studio 1 all’esercizio è stato aggiunta la terapia peloide,nello specifico con impacchi 5 giorni su 7 di fango a 45°C della durata di 30 minuti, per un totale di 15 trattamenti nel corso delle tre settimane. Infine, ai partecipanti del gruppo studio 2 è stato aggiunto agli esrcizi l’applicazione del tape chimesiologico con una frequenza di due volte la settimana per tre settimane di fila e un totale di 6 trattamenti.

I pazienti sono stati valutati al punto zero, a fine trattamento e dopo un mese con la Scala visuale analogica per il dolore (VAS), con l’indice DASH per valutare la disabilità di braccio, spalla e mano, con il dinamometro idraulico per valutare la forza della presa, con un questionario per valutare la qualità di vita (SF-36) e con un questionario relativo alla percezione dell’avambraccio da parte del paziente (PRFEQ). Gli autori hanno visto miglioramenti significativi a un mese dalla fine del trattamento per tutti e tre i gruppi, in particolare per la forza di presa, il DASH, la VAS e il questionario SF-36.

Tuttavia, se si osservano le differenze tra i tre gruppi, ci si accorge che tanto alla fine del trattamento, quanto a un mese di distanza, i pazienti sottoposti oltre che a esercizi anche a terapia con fanghi caldi hanno risultati significativamente migliori, dal punto di vista statistico, rispetto a quelli del gruppo di controllo, almeno per quanto riguarda la forza di presa, il DASH, il PRFEQ, la funzionalità del braccio e il SF-36.

Gli autori concludono osservando la necessità di avviare nuovi studi randomizzati per verificare questo risultato. Viene poi naturale chiedersi se il fango utilizzato abbia una particolare composizione, o se a fare da vettore al miglioramento sia “solo” il calore, noto per le due proprietà antinfiammatorie.

(Lo sudio: Gül S, Yılmaz H, Karaarslan F. Comparison of the effectiveness of peloid therapy and kinesio taping in tennis elbow patients: a single-blind controlled study. Int J Biometeorol. 2022 Apr;66(4):661-668. doi: 10.1007/s00484-021-02225-7. Epub 2021 Nov 27. PMID: 34837528)

Stefania Somaré