Dolore muscoloscheletrico, la sanità digitale può colmare le differenze sociali?

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Secondo uno studio Usa, la telemedicina ha la capacità di avvicinare ai percorsi di cura anche pazienti socialmente svantaggiati, purché i professionisti coinvolti siano opportunamente formati.

La sanità digitale è uno strumento valido per far giungere il sistema salute a tutti: una volta a regime dovrebbe essere infatti meno costosa della modalità in presenza. Un recente studio firmato USA valuta proprio la bontà di un programma di telemedicina per il trattamento del dolore muscoloscheletrico, gestito da un team multietnico e multiculturale, con membri capaci di parlare più lingue e formati per ridurre al massimo il rischio di discriminazione e pregiudizio.

Spesso, infatti, i gruppi di emarginati dalla società sono costituiti da persone non solo povere, ma anche appartenenti da etnie e culture diverse da quella del Paese in cui vivono, che necessitano di personale sanitario in grado di farsi capire e farle sentire accolte.

Caratteristiche del programma e dei pazienti coinvolti

Dal punto di vista medico, il programma di telemedicina oggetto dello studio si compone di esercizi fisici, educazione sanitaria e terapia cognitiva comportamentale. Non è un programma di nuovo avvio, ma funziona da parecchio tempo. Semplicemente, in questo lavoro si valuta la sua capacità di accorciare le distanze geografiche e culturali. A tal fine, gli autori hanno utilizzato un indice di deprivazione sociale per dividere una coorte di 12.064 pazienti con dolore muscoloscheletrico in 5 sottogruppi e poter così osservare l’impatto socioeconomico su outcome clinici e coinvolgimento nel percorso di cura.

L’ipotesi del team di ricerca è che entrambi siano simili in tutti i gruppi, dimostrando così che il programma funziona. Il programma di telemedicina proposta dura 12 settimane; la percentuale di pazienti arrivata alla fine è il 71%, pari a 8569 soggetti.

Per quanto riguarda le categorie, la distribuzione è quella che segue: il gruppo C1, caratterizzato dall’indice di deprivazione sociale più basso, si compone di 3666 pazienti; il gruppo C2 di 2903 pazienti; il gruppo C3 di 2372 pazienti; il gruppo C4 di 1874 pazienti; il gruppo C5, ovvero quello con maggior maggior deprivazione sociale, possiede 1221 pazienti, con alte percentuali di etnia nera e ispanica, un indice di massa corporea maggiore a quello degli altri gruppi e pochi soggetti con alto grado di istruzione.

Interessante osservare che i partecipanti a tutti i gruppi lavorano e vivono per lo più in aree urbane: i sottogruppi C1 e C5 sono quelli con la minor presenza di abitanti in aree rurali. Inoltre, i pazienti del gruppo C5 sono quelli che vivono più vicini, in proporzione, ai servizi sanitari e con un maggior numero di providers entro un’area di 18 miglia. Simile anche la tipologia di dolore muscoloscheletrico tra i 5 sottogruppi: il più frequente è il mal di schiena.

Gli esiti confermano l’ipotesi del team

Il percorso in telemedicina ha permesso di ottenere buoni esiti in tutte e 5 le categorie di pazienti, indipendentemente dal loro indice di deprivazione sociale; per esempio, i pazienti hanno ottenuto una riduzione del dolore muscoloscheletrico che li affliggeva e migliorato i risultati del questionario WPAI, atto a valutare la produttività lavorativa e la disabilità nelle attività quotidiane.

Si è in particolare osservata una netta riduzione delle assenze da lavoro. I WPAI e l’assenteismo sono migliorati, da un punto di vista percentuale, molto di più nella categoria C5 che nelle altre, forse perché questi erano i pazienti con maggiori problemi. Sempre parlando di risultati, i ricercatori hanno valutato l’impatto del programma anche su ansia e depressione, dal momento che il dolore muscoloscheletrico presenta una forte connotazione psico-sociale. Anche in questo caso, sono stati ottenuti risultati più che soddisfacenti in tutte le categorie.

Probabilmente come conseguenza di quanto detto sin qui, si è osservata anche una netta riduzione dell’uso di antidolorifici. Un dato importante, se si considera che per il dolore muscoloscheletrico che non passa spesso vengono prescritti gli oppiacei.

L’apprezzamento dei partecipanti

Per concludere, gli autori hanno anche valutato apprezzamento e coinvolgimento dei partecipanti: il primo è stato alto in tutte le sottocategorie, mentre il secondo è calato da C1 a C5, con numero di sessioni portate a termine rispettivamente di 23 e 17. Si osserva che i pazienti che dedicano meno tempo all’esercizio fisico sono per lo più donne (C1 e C2), con un alto BMI e appartengono a un’etnia specifica, ovvero asiatica (C3), ispanica (C1 e C3) e nera (C1).

Lo studio mette in evidenza il vantaggio di avviare programmi di telemedicina per il dolore muscoloscheletrico gestiti da team adeguati, così da poter trattare anche soggetti di categorie sociali fragili e riuscire a ridurre i costi legati alla ridotta produttività e all’uso di oppiacei. Inoltre, in questo modo si può garantire un miglioramento di salute ai cittadini.

(Lo studio: Areias, A.C., Molinos, M., Moulder, R.G. et al. The potential of a multimodal digital care program in addressing healthcare inequities in musculoskeletal pain management. npj Digit. Med. 6, 188 (2023). https://doi.org/10.1038/s41746-023-00936-2)