Frequente nel basket e nella pallavolo, la distorsione di caviglia, in relazione alla sua gravità, può essere trattata per via conservativa o chirurgica. Se in fase acuta una cavigliera bivalve è indicata per l’immobilizzazione dell’articolazione, in fase di recupero una cavigliera a otto può sostenere l’atleta in campo quando la riabilitazione non è ancora terminata.
Nella pallavolo e nel basket i traumi all’articolazione della caviglia sono frequenti. Capita spesso che un atterraggio sotto canestro o sotto rete non ottimali o sul piede di un compagno possa determinare il mal posizionamento del piede e il trauma distorsivo. Trauma che può essere di diversa entità coinvolgendo una o più strutture legamentose che compongono la caviglia.
L’indicazione varia quindi in base alla gravità dell’infortunio e può essere conservativa – riportando in tempi brevi l’atleta nuovamente sui campi da gioco, spesso coadiuvato dall’utilizzo di un tutore a otto per aiutare l’articolazione – oppure può essere necessario intervenire chirurgicamente.
In questo caso il recupero richiede tempi più lunghi ma, grazie alle nuove tecniche artroscopicamente assistite, è possibile ricostruire in maniera mininvasiva l’articolazione portandola a una perfetta condizione funzionale.
Ne abbiamo parlato con Federico Usuelli, medico chirurgo specialista in Ortopedia e Traumatologia, referente per la chirurgia della caviglia e del piede per il gruppo C.A.S.C.O.
Un’articolazione congruente
«L’articolazione della caviglia ha delle caratteristiche anatomiche che la rendono molto particolare rispetto ad altre articolazioni», esordisce Federico Usuelli.
«Quando, per esempio, l’atleta lesiona il legamento del crociato, l’indicazione è chirurgica. Nel caso della caviglia, la lesione di uno dei legamenti che la compongono, come il peroneo astragalico anteriore, non comporta il trattamento operatorio; un’appropriata gestione del post acuto, una buona fisioterapia mirata al recupero della propriocettività, permettono di recuperare appieno la funzionalità dell’articolazione e riprendere l’attività sportiva.
Tutto questo perché la caviglia è un’articolazione congruente. Ciò significa che tutte le superfici che la compongono combaciano in maniera ideale. Quest’articolazione ha quindi una stabilità intrinseca, dal punto di vista scheletrico significa che in statica la caviglia svolge perfettamente il suo ruolo di sostegno.
L’azione dei legamenti che la costituiscono – i legamenti deltoidei e legamenti laterali – subentra soltanto in fase dinamica. Questo spiega perché la patologia e i traumi che si sviluppano a livello della caviglia possono essere completamente diversi da quelli di altre articolazioni».
La frattura è il trauma più grave
Essendo la caviglia un’articolazione molto stabile, il trauma più pericoloso è la frattura perché ne altera la congruenza.
«La frattura della caviglia avviene a seguito di traumi ad alta energia, nel motociclismo, più raramente nel calcio», precisa Usuelli.
«Anche nel motociclismo però gli incidenti a carico di quest’articolazione si sono ridotti a seguito di attrezzature sempre più protettive e performanti, la tuta, gli stivali. Quando però c’è il trauma, l’indicazione è di solito chirurgica, con esiti non sempre tali da consentire la perfetta ripresa della funzionalità del pre-trauma. Non è, inoltre, da escludere il rischio di artrosi». In caso, invece, di lesione legamentosa il recupero è ottimale a patto che si rispettino i protocolli terapeutici.
«Sono i giocatori di basket e di volley che s’infortunano più facilmente alla caviglia», continua Usuelli. «Nell’immediato post-trauma l’unica indicazione è il protocollo RICE, acronimo per riposo (Rest), ghiaccio (Ice), compressione (Compression), elevazione (Elevation). Questa pratica ha l’importante compito di controllare la sintomatologia dolorosa, di ridurre l’edema. Solo in seconda battuta, attraverso la diagnostica per immagini, una risonanza magnetica, si potrà valutare quali strutture sono rimaste coinvolte nell’incidente: legamenti, cartilagini…».
L’importanza della cavigliera
«Nella fase acuta è prevista la compressione, serve quindi un tutore rigido in grado di fornire immobilità alla caviglia», continua Usuelli.
«Una cavigliera bivalve è di solito la più indicata. Fondamentale sarà indossarla correttamente ponendo l’articolazione a 90°, regolando adeguatamente i velcri di chiusura in modo che il presidio aderisca perfettamente all’arto e alla caviglia – senza, comunque, esercitare pressioni sulla gamba – in modo che conferisca stabilità all’articolazione infortunata. Superata questa prima fase, iniziata anche l’attività riabilitativa, focalizzata sulla propriocettività, può essere richiesto all’atleta un ritorno prematuro sui campi da gioco.
Servirà, quindi, ancora una protezione per l’articolazione, per prevenire eventuali instabilità successive. Il tutore più indicato, in questo caso, è di tipo fasciante; esistono in commercio ottime cavigliere che s’ispirano al bendaggio a otto, le quali risultano perfettamente avvolgenti, in grado di proteggere e sostenere il movimento dell’articolazione senza, comunque, inibirlo. L’utilizzo del tutore non sostituisce l’attività riabilitativa, che deve comunque continuare fino alla completa funzionalità dell’articolazione.
L’obiettivo è di restituire la corretta percezione sensoriale, visto e considerato che il piede – e quindi la caviglia che ne fa parte – potrebbe essere definito, per la sua straordinaria innervazione, più un organo di senso che di movimento. Il trauma distorsivo inibisce la corretta sensibilità del piede che solo attraverso un’opportuna fisioterapia propriocettiva potrà essere ripristinata. Il rischio quindi è di abusare del tutore tralasciando la riabilitazione, un errore che diversi ex giocatori fanno, incorrendo spesso in recidive».
La soluzione chirurgica
Quando la risonanza magnetica evidenzia la lesione di più legamenti, l’indicazione è di solito chirurgica.
«Capita dopo aver completato il normale percorso riabilitativo che nell’atleta permanga un senso d’instabilità: la caviglia tende a cedere su terreni sconnessi, percorrendo un selciato… In questo caso un accertamento diagnostico con RM permette di valutare l’entità della lesione legamentosa», precisa Usuelli.
«L’instabilità della caviglia può portare a eventuali recidive, ma soprattutto al rischio di sviluppare un’artrosi precoce alla caviglia». Le tecniche chirurgiche per il ripristino della funzionalità legamentosa sono oggi mini invasive.
«Queste tecniche sostituiscono riparazioni legamentose effettuate a cielo aperto come la Brostrom-Gould che prevedeva un’incisione, una ricostruzione non anatomica e un’immobilizzazione sotto gesso. Il mio gruppo ha messo a punto una nuova tecnica in artroscopia che consente la ricostruzione anatomica dei legamenti lesionati – di solito il peroneo astragalico anteriore e il peroneo calcaneare – utilizzando il semitendinoso del ginocchio, un tendine che può essere asportato senza compromettere la stabilità dell’articolazione. Nel post operatorio, per i primi 15 giorni, l’obiettivo sarà l’immobilità della caviglia la quale verrà alloggiata all’interno di un tutore walker.
Grazie a questo stivale ortopedico, la caviglia verrà mantenuta a un’angolazione di 90°. Durante la fase d’immobilizzazione, il tutore sarà comunque sbloccato per un’ora al giorno al fine di consentire la mobilizzazione della caviglia. Dopo il quindicesimo giorno il walker verrà completamente sbloccato, caricando l’articolazione.
Al trentesimo giorno, infine, il tutore verrà dismesso. A questo punto inizierà la vera e propria riabilitazione che potrà anche avvenire in acqua. Riabilitazione che mira a recuperare tono muscolare, articolarità e propriocettività».
Elisa Papa