Alcune patologie dell’apparato locomotore portano a una graduale degenerazione del tessuto muscolare con perdita di funzione e autonomia da parte del paziente, fino ad arrivare all’impossibilità di respirare, deglutire e così via.
Uno studio italiano che ha visto in prima linea l’Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBPM) svela un meccanismo che potrebbe permettere lo sviluppo di un approccio terapeutico capace di rallentare o eliminare la degenerazione delle fibre muscolari, incentivandone la rigenerazione.
Scendiamo nel dettaglio (Prdm16-mediated H3K9 methylation controls Fibro-Adipogenic Progenitors identity during skeletal muscle repair).
Gli autori si sono concentrati sulle cellule FAP, ovvero le progenitrici di cellule fibrotiche e adipociti. Si tratta di cellule che in condizione fisiologica stimolano la rigenerazione dei muscoli scheletrici, ma che in un ambiente patologico possono invece favorire il deposito di grasso e tessuto cicatriziale che, pian piano, sostituiscono il tessuto muscolare.
Ciò succede, nella fattispecie, nella distrofia muscolare di Duchenne. Spiega Chiara Mozzetta, coordinatrice dello studio insieme alle prime autrici del lavoro, Beatrice Biferali e Valeria Bianconi: abbiamo rivelato in che modo è possibile cambiare il destino di queste cellule riuscendo a spingerle a formare nuovo tessuto muscolare e bloccando quindi la loro capacità di generare cellule fibrotiche e adipose – spiega Mozzetta, che prosegue – sapevamo da studi precedenti che le FAP sono capaci di acquisire diverse identità a seconda dell’ambiente in cui si vengono a trovare e in questo lavoro abbiamo capito come riconvertirle in cellule in grado di partecipare alla rigenerazione muscolare, piuttosto che alla degenerazione.
Nello studio, le ricercatrici non solo hanno individuato i geni responsabili dell’attivazione delle staminali a formare nuovo tessuto muscolare, posizionati alla periferia del nucleo, ovvero dove sta il genoma non utilizzato, ma hanno trovato modo di sbloccare questa zona con un approccio farmacologico che inibisce gli enzimi G9a e GLP. Fatto ciò, si è osservato che la parte di genoma “sbloccata” si riposiziona verso il centro del nucleo, consentendo alle FAP di formare nuovo tessuto muscolare. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances. Vi hanno partecipato anche gruppi dell’Università Sapienza di Roma, dell’Istituto italiano di tecnologia (Iit) di Roma, dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, della Freie Universität di Berlino e dell’Irbm di Pomezia.
Stefania Somaré