Dalla stampa 3D polpastrelli dotati di tatto

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Ricercatori dell’Università di Bristol hanno stampato in 3D dei polpastrelli dotati di piccoli rigonfiamenti a spillo del tutto simili a quelli presenti sulla cute umana: un traguardo reso possibile dalle potenzialità della stampa 3D, che può unire materiali morbidi e duri per ricreare strutture che mimano quelle biologiche.

Questi polpastrelli possono «produrre segnali nervosi artificiali che sembrano registrazioni di neuroni tattili reali», come riferisce il professor Nathan Lepora del Dipartimento di Ingegneria Matematica dell’Università di Bristol e autore, con altri colleghi, di due studi pubblicati su Journal of the Royal Society Interface.

Il primo studio indaga le potenzialità tattili della texture cutanea, ovvero la possibilità che questa possa fungere da afferenza vibrotattile, provocando dei segnali nervosi; il secondo si concentra, invece, sulle asperità della cute, ovvero, nel caso dei polpastrelli, sulle impronte digitali.
Per andare più nel dettaglio, il primo studio suggerisce che per ottenere una pelle artificiale davvero capace di percepire il tatto, si debba tenere conto della interconnessione naturale tra i canali nervosi ad adattamento lento, ad adattamento rapido e quelli vibrotattili: le strutture devono essere quindi progettate in modo tripartito.

Il secondo studio, invece, analizza la capacità sensitiva della struttura ideata e il ruolo delle creste e papille, evidenziando la superiorità della cute naturale in ambito percettivo, ma anche che si può tentare di ricreare il tutto in modo artificiale. Queste ricerche hanno un interesse molto concreto: poter costruire dei dispositivi robotici dotati di tatto e che quindi anche di maggiore destrezza.

Questo è un tema quantomai importante, soprattutto quando si parla di protesi di arto superiore e di mano: le protesi più avanzate sono infatti spesso abbandonate dagli utenti perché difficili da utilizzare se non sono in grado, in qualche modo, di riprodurre il senso del tatto. O comunque di offrire dei bio-feedback che facilitano la gestione della forza di presa, per esempio, o che aiutino nel percepire le dimensioni di un oggetto.
Il tatto è un senso fondamentale per la percezione del mondo che ci circonda e anche per l’uso della manualità fina: senza, tutti i movimenti diventano approssimativi. Non solo: il tatto e i biofeedback sensoriali concorrono a creare nell’utente la percezione che la protesica sia parte del proprio corpo, a sentirla come parte del sé. Ciò aiuta il soggetto anche a livello psicoemotivo e spesso riesce a limitare i fastidi legati all’arto fantasma.

Tutto ciò vale anche per gli arti inferiori: se è vero che questi effettuano movimenti meno fini di quelli superiori, infatti, lo è anche che la percezione dell’appoggio del piede al suolo è fondamentale per avere un passo fermo e sicuro. Ecco, dunque, che questo lavoro inglese rappresenta un passo avanti verso la realizzazione di protesi più simili agli arti nativi, magari anche da un punto di vista estetico e non solo funzionale.

(Gli studi: Pestell Nicholas and Lepora Nathan F. 2022 Artificial SA-I, RA-I and RA-II/vibrotactile afferents for tactile sensing of texture J. R. Soc. Interface.192021060320210603,
http://doi.org/10.1098/rsif.2021.0603; Pestell Nicholas, Griffith Thom and Lepora Nathan F. 2022Artificial SA-I and RA-I afferents for tactile sensing of ridges and gratings J.R. Soc. Interface.192021082220210822, http://doi.org/10.1098/rsif.2021.0822)

Stefania Somaré