Quando uno dei nostri arti non lavora appieno tendiamo a utilizzare quello sano, perché questo comporta meno fatica, però così facendo spesso ne rallentiamo il recupero funzionale.
Ciò è vero in particolare per i pazienti post ictus, nei quali la riabilitazione ha la funzione di rinforzare l’arto, ma anche di supportare una ristrutturazione più profonda delle sinapsi cerebrali del paziente.
Per ovviare a questo problema, una delle strategie riabilitative già utilizzate è l’applicazione della terapia del movimento indotta da vincoli (CIMT), nella quale l’arto sano viene bloccato, costringendo il paziente a utilizzare quello leso. Si tratta di una terapia che si è già dimostrata efficace per trattare l’arto superiore paretico.
Forte di queste evidenze, un team di ricerca svedese ha messo alla prova la CIMT applicandola a 147 pazienti con stroke sub-acuto con difficoltà di equilibrio e deambulazione. L’intento è quindi dimostrarne l’utilità per l’arto inferiore.
Il campione è formato al 51% da pazienti con infarto cerebrale, al 34% da soggetti con stroke emorragico e al 15% da persone con stroke senza specifica eziologia.
Il protocollo riabilitativo selezionato dai ricercatori si basa su un training personalizzato altamente intensivo, costituito da una serie di compiti da svolgere con la gamba lesa, dall’andare in bicicletta al camminare, passando per esercizi di rinforzo muscolare e di equilibrio.
La durata di ogni sessione di allenamento è di 45-60 minuti, per un totale di 6 ore di allenamento al giorno per 5 giorni la settimana, il tutto per due settimane consecutive.
Su suggerimento del fisioterapista che li ha seguiti, i pazienti si sono impegnati a camminare e fare stretching anche durante il weekend, oltre a eseguire specifici esercizi per la caviglia e le dita dei piedi.
Finite le due settimane di riabilitazione guidata, ogni partecipante ha elaborato, insieme al fisioterapista, un programma di mantenimento da seguire a casa propria, almeno 4-7 volte la settimana, per 3 mesi.
Tutti i pazienti ritenuti in grado hanno inoltre utilizzato un tutore di ginocchio in estensione durante gli allenamenti del passo, per stimolare l’arto malato.
L’indice scelto per valutare la funzionalità motoria è il Fugl-Meyer Assessment (FMA), e in particolare la sua subscala E, il cui punteggio massimo è 22; inoltre si è usato il Timed Up and Go (TUG) Test.
Il test del passo a 10 metri (10MWT) e a 6 metri (6MWT) sono stati utilizzati, invece, per valutare il passo. Mettendo a confronto i risultati di questi test prima e dopo l’intervento riabilitativo, gli autori hanno osservato differenze significative per l’indice FMA, migliorato di 1.5 punti dopo le 2 settimane di allenamento e di 1.7 punti alla fine dei 3 mesi di follow-up.
Simile la situazione per il TUG test, il cui tempo di esecuzione è calato di 2.6 secondi dopo la fase intensa di training e di 2.7 secondi alla fine dello studio.
Il protocollo sembra aver agito positivamente anche sull’abilità del passo: mediamente i pazienti hanno eseguito il 10MWT e il 6MWT più velocemente dopo l’intervento riabilitativo. Tuttavia, lo studio mette anche in evidenza l’importanza di iniziare la riabilitazione il prima possibile dopo l’evento stroke: sembra infatti che il fattore tempo sia l’unico in grado di influenzare il miglioramento del 10MWT.
Dal momento che età, genere, tipo di stroke subito e così via non sembrano influenzare i risultati del protocollo applicato, gli autori ne sottolineano la bontà anche in un contesto real world, dove i fisioterapisti si trovano a dover trattare diverse tipologie di pazienti con stroke. È comunque importante continuare a studiare il metodo.
Lo studio è stato condotto dalla Umeå University in collaborazione con la Örebro University.
(Lo studio: European Journal of physical and rehabilitation Medicine 2023 Mar 09 DOI: 10.23736/S1973-9087.23.07683-9)