Chirurgia spinale, ridurre complicanze alla ferita

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L’infezione postoperatoria al sito chirurgico è una complicanza che può verificarsi dopo qualunque intervento, con un rischio che cresce di pari passo con la durata dell’intervento stesso. Le motivazioni sono semplici: più tempo i tessuti del paziente sono esposti all’aria e più aumenta la possibilità che vengano colonizzati da ceppi batterici di varia natura.

Le infezioni non sono però la sola complicazione che può verificarsi a livello del taglio operatorio che, per esempio, può faticare a guarire.
Individuare soluzioni per ridurre l’incidenza di questi eventi avversi è importante per migliorare gli esiti dell’intervento e garantire maggiore sicurezza al paziente, oltre che per incrementare la sostenibilità degli interventi stessi. Una soluzione potrebbe venire dalla terapia a pressione negativa (NPWT), già utilizzata nel trattamento delle ferite che faticano a rimarginarsi.

Secondo ricercatori dell’University of Pittsburgh Medical Center questa tecnica potrebbe ridurre le complicanze alla via di accesso negli interventi di chirurgia spinale. Più nel dettaglio, la ricercatrice Melissa Yunting Tang ha effettuato, insieme ad alcuni colleghi, uno studio retrospettivo per confrontare gli esiti dell’intervento spinale in pazienti trattati o meno con la NPWT. Tre gli anni presi in considerazione, per avere un buon numero di pazienti inclusi.

Gli autori hanno registrato per ogni paziente alcuni dati demografici, come età, genere, BMI, chirurgie precedenti, presenza di comorbidità, vizio del fumo, osservando che generalmente la terapia sottovuoto viene effettuata in pazienti con un peso ponderale maggiore. I due gruppi presi in esame sono risultati invece uniformi per tutti gli altri parametri considerati, il che permette di confrontare gli esiti in termini di infezione e altre complicanze del sito chirurgico. Bene, le analisi effettuate hanno permesso di evidenziare chela tecnica NPWT riduce tanto le complicanze non infettive alla ferita chirurgia quanto quelle infettive, riducendo il tasso di rioperazione. Un risultato interessante che, però, va confermato da studi più ampi.

Inoltre, sottolinea Tang, è fondamentale effettuare uno studio di costo/beneficio dell’introduzione di questa tecnica in sala operatoria.
Come accennato, la NPTW è già in uso per il trattamento delle ferite difficili, ma entra in gioco solo per ulcere che non raggiungono segni di guarigione significativi con medicazioni avanzate: non è quindi un trattamento di uso comune. È infatti una tecnica costosa, che richiede una pompa a vuoto, un tubo per il drenaggio, un serbatoio per la raccolta di fluidi e liquidi di scarto e un set di medicazioni specifici che stimolano e promuovono i processi di guarigione naturale del corpo.
Anche in ambito di wound care, non è raro che gli specialisti optino per vie più tradizionali. Qui il passaggio sarebbe ulteriore: lo studio suggerisce infatti di introdurre la tecnica come pratica di routine nella chirurgia spinale, a scopo preventivo. Va da sé che occorre avere maggiori evidenze di efficacia non in termini clinici, ma anche finanziari.

(Fonte: Oyekan AA, et al. Paper 949, presentato durante il Musculoskeletal Infection Society Annual Meeting di Pittsburgh)

Stefania Somaré