I pazienti con artrite reumatoide percepiscono una serie di bisogni non soddisfatti. Una maggiore personalizzazione dell’approccio terapeutico potrebbe aumentare i benefici associati alle cure.
In Italia l’artrite reumatoide colpisce una persona ogni 250. Ne consegue che sono circa 400 mila i pazienti affetti da questa malattia autoimmune, per lo più donne. L’artrite reumatoide, infatti, colpisce il genere femminile con una frequenza di 3/4:1 rispetto a quello maschile. La fascia di età di esordio più comune è compresa tra i 40 e i 60 anni.
L’artrite reumatoide è potenzialmente debilitante, ma se diagnosticata precocemente e curata adeguatamente il paziente riesce comunque a vivere una vita piena. Eppure, nonostante le innovazioni farmacologiche introdotte negli ultimi anni, molti dei pazienti affetti da questa patologia chiedono una maggiore personalizzazione dei percorsi, per poter migliorare la propria qualità di vita, il benessere bio-psicosociale e la funzionalità corporea.
Questa, almeno, una delle verità emerse da una recente indagine, condotta su 67 professionisti sanitari e 70 pazienti con artrite reumatoide da un gruppo multidisciplinare composto da clinici, Associazioni Pazienti, farmacologi e farmaco-economisti. Vediamo alcuni dei risultati del lavoro.
Discrepanze tra esigenze dei medici e dei pazienti
Secondo l’indagine, il 79% dei pazienti vorrebbe percorsi diagnostico terapeutici più centrati sulle proprie esigenze.
Il quadro che si delinea mettendo a confronto le risposte dei clinici con quelle dei pazienti è quello di una diversa percezione del percorso terapeutico da parte delle due categorie: per fare un esempio, se per il 34% dei pazienti la propria diagnosi è stata ritardata, per il 32% è ormai normale identificare precocemente i segni di artrite reumatoide e giungere a una diagnosi precoce.
E, ancora, se per il 44,78% dei medici coinvolti le comorbidità, spesso presenti in questi pazienti, sono gestite in modo adeguato, solo il 27,91% dei pazienti coinvolti hanno lo stesso pensiero. La discrepanza esiste anche riguardo alla medicina territoriale, considerata sì importante da tutti gli interpellati, ma vissuta come ancora scarsa da oltre l’85% dei pazienti.
Vengono così delineati i bisogni non soddisfatti di chi soffre di artrite reumatoide, ovvero una diagnosi che sia davvero precoce, una comunicazione con i medici di famiglia e i reumatologi che sia fluida e produttiva, una gestione più efficace delle comorbidità e anche una maggiore facilità di accesso all’innovazione. Sentita poi l’urgenza di una riorganizzazione dei servizi di cura.
Questi risultati sono alla base di un position paper già presentato in Senato, dal titolo “Innovare la presa in carico della persona con Artrite Reumatoide: dagli unmet needs alla personalizzazione della cura”. Il paper è prodotto da ALTEMS Advisor – Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il patrocinio dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici ODV (ANMAR) e dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare (APMARR) e con il contributo non condizionante di Alfasigma.
Il focus del position paper
Come già accennato, la richiesta del position paper è rendere i percorsi di cura per l’artrite reumatoide sempre più incentrati sulle caratteristiche del paziente, non solo cliniche. Per esempio, occorre tenere presente anche lo stile di vita del soggetto, valutando con attenzione le sue aspettative e priorità: queste possono poi fungere da pilastri per facilitare, per esempio, l’aderenza terapeutica, ma anche per orientare la pratica clinica.
Bisogna ricordare che molte delle pazienti sono madri, magari di figli ancora da accudire, o nonne e, spesso, lavoratrice: gestione ottimale del dolore e mantenimento di una funzionalità corporea sono essenziali perché queste pazienti riescano a svolgere i propri compiti quotidiani. Secondo gli esperti nel prossimo futuro un aiuto verrà anche da digital health e intelligenza artificiale.