Tra le prime cause di disabilità al mondo, in quasi il 50% dei pazienti l’ictus colpisce le aree del cervello deputate al controllo dell’arto superiore, determinando disabilità croniche nella maggioranza dei casi. Si osserva, inoltre, che non sempre i risultati clinici dei percorsi riabilitativi trovano una corrispondenza nella vita quotidiana: la possibilità di utilizzare l’arto disabile, infatti, non basta. Vanno presi in considerazione anche fattori come l’ambiente e l’ambito psico-emotivo del soggetto.

È possibile che il percorso riabilitativo in ambiente controllato non sia sufficiente, ma debba essere seguito da un percorso domiciliare, supervisionato da lontano dallo specialista, focalizzato su obiettivi propri del paziente. Si parla di “Self-directed rehabilitation”.

Un recente studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato su Archives of Rehabilitation Research and Clinical Translation valuta l’efficacia di un protocollo di questo tipo per il recupero dell’arto superiore in pazienti con ictus che vivono in comunità. Al lavoro hanno partecipato il Dipartimento di Terapia Occupazionale della NYU Steinhardt School of Culture, Education, and Human Development, il Centro di Ricerche in Neuropsicologia e Neuroscienze della Kessler Foundation e altri enti specialistici dello stato di New York. 

Il protocollo utilizzato

Lo studio ha carattere pioneristico, tanto da aver arruolato solo 15 adulti, con classificazione di autonomia e funzionalità da alte a molto basse. Il protocollo testato, chiamato “Use My Arm-Remote” e descritto in un precedente studio del 2023, si divide in tre fasi.

La prima comporta la formazione di un terapista occupazionale con esperienze in ambito clinico e in neuroriabilitazione nel condurre interviste motivazionali. La seconda vede il terapista formato incontrare il proprio paziente virtualmente per stabilire insieme a lui gli obiettivi personalizzati generali e indentificare le attività quotidiane su cui si vuole lavorare, per poi sviluppare una scheda di allenamento costumizzata che verrà poi eventualmente implementata nel periodo di lavoro. La terza fase vede avviarsi il programma riabilitativo vero e proprio; in questa fase l’équipe entra quotidianamente in contatto con il paziente e ne valuta l’aderenza terapeutica e il tempo di allenamento con una apposita app commerciale.

Il programma proposto dura quattro settimane, con cinque sessioni settimanali da sessanta minuti l’una. Outcome primario dello studio, valutare la fattibilità del protocollo: per capirlo, i pazienti sono stati sottoposti a interviste semistrutturate. Inoltre, ci si è affidati ai risultati quantitativi. Gli autori hanno voluto però tenere anche conto di alcuni indici, come il Canadian Occupational Performance Measure (COPM), il Motor Activity Log (MAL) e il Fugl-Meyer Assessment (FMA).

Risultati

Tutti e 15 i partecipanti hanno portato a termine il periodo riabilitativo. L’80% dei partecipanti ha ottenuto buoni esiti di aderenza, effettuando almeno 12 allenamenti sui 20 possibili, mentre solo il 33,3% è riuscito ad allenarsi almeno 30 minuti al giorno, su sessioni calcolate in 60 minuti, mentre gli autori avevano stabilito una soglia minima del 50%.

Il protocollo si è dimostrato anche sicuro: la maggior parte degli “eventi avversi” indicati riguardano stanchezza o dolore muscolare, compatibile con sessioni di allenamento. Nulla che non passi con del riposo.

Interessante osservare che nella fase di intervista finale parecchi pazienti richiedano domande di EMA – “Ecological Momentary Assessments” più aperte, o comunque con la possibilità di spiegare la ragione delle proprie risposte. Una condizione che renderebbe il protocollo riabilitativo ancora più personalizzato.

Cosa possiamo dire, invece, dei risultati ottenuti negli indici? In generale i miglioramenti raggiunti durante la riabilitazione ospedaliera vengono mantenuti nel tempo, il che favorisce l’uso degli arti superiori in ambiente domestico: un’indicazione data tanto dai valori di COPM, sia nella sottoscala “performance” che in quella “soddisazione”, quanto da quelli di MAL e FMA.

Gli autori sottolineano quindi che lo strumento “Use My Arm-Remote” potrebbe essere davvero utile per la riabilitazione “real world” di soggetti con ictus.

Studio: Kim GJ, Gahlot A, Magsombol C, Waskiewicz M, Capasso N, Van Lew S, Kim H, Parnandi A, Dickson VV, Goverover Y. Feasibility of a Self-directed Upper Extremity Training Program to Promote Actual Arm Use for Individuals Living in the Community With Chronic Stroke. Arch Rehabil Res Clin Transl. 2024 Jan 18;6(1):100316.