Affligge molte persone, non sempre anziane: è l’artrosi di ginocchio, patologia degenerativa del tessuto connettivo associata inizialmente a dolore e gonfiore e, nel tempo, a riduzione della funzionalità articolare. L’iter di cura prevede di gestire i sintomi iniziali tramite farmaci, terapie infiltrative e riabilitazione, al fine di preservare l’autonomia del paziente e cercare di rallentare il processo degenerativo per spostare il più avanti possibile nel tempo il momento dell’artroplastica.
La questione è come curare i giovani che sviluppano degenerazione cartilaginea del ginocchio. Tra le innovazioni più recenti vi è l’impianto di uno scaffold in aragonite, minerale di carbonato di calcio naturalmente presente in natura, sia come prismi riuniti a creare delle masse sfereggianti sia nelle conchiglie e nei coralli.
Lo scaffold sarebbe in grado di supportare la riparazione dei danni della superficie articolare in artrosi lievi e moderate. A dimostrarlo, i risultati di uno studio prospettico multicentrico di durata biennale pubblicato nel gennaio 2021 su The American Journal of Sports Medicine, al quale hanno partecipato anche l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna e Humanitas.
Studio che, peraltro, ha convinto la Food and Drug Administration statunitense ad approvare l’uso dell’impianto in aragonite, appunto, che si presenta come un cilindro di porosità uguale a quella dell’osso.
L’impianto è inoltre biocompatibile e biodegrabile. Condotto su 250 pazienti, il lavoro ha evidenziato un marcato miglioramento clinico e funzionale nei pazienti trattati con l’aragonite rispetto a quelli seguiti con un iter tradizionale: a due anni di follow-up, in particolare, il Knee Injury and Osteoarthitis Outcome Score (KOOS) dei primi era 42.7 contro un valore di 21.4 dei secondi. Il dispositivo è stato ideato in Israele.
Al progetto ha partecipato anche la dottoressa Francesca de Caro, chirurgo ortopedico all’Istituto di Cura Città di Pavia (Gruppo San Donato), ricoprendo il ruolo di referente per l’Italia insieme alla professoressa Elizaveta Kon, Capo Sezione del Centro per la Ricostruzione Articolare del Ginocchio di Humanitas e docente Humanitas University.
In particolare, si è «occupata del reclutamento dei pazienti e dei primi interventi chirurgici pilota, atti a validare l’efficacia del dispositivo. Quest’anno, in occasione del congresso ICRS a Berlino, ho presentato i risultati dello studio con un focus sul ruolo delle lesioni meniscali nel successo del trattamento».
Di recente il cilindro in aragonite è stato utilizzato anche su un paziente di 58 anni, con artrosi di ginocchio allo stadio iniziale, e in uno di 27 anni, con lesione alla cartilagine della troclea femorale, entrambi ricoverati presso l’Istituto di Cura Città di Pavia.
Parlando della procedura, la dott.ssa de Caro sottolinea che è «sicura, e non presenta quindi rischi maggiori rispetto a un comune intervento chirurgico. L’intervento è in anestesia spinale e ha una durata di circa 40 minuti. Il paziente resta in ospedale una sola notte e poi viene rimandato al domicilio con l’indicazione alla riabilitazione. Non vi sono particolari controindicazioni alla procedura e gli effetti collaterali non sono diversi da quelli di un normale intervento. Non vi è poi il rischio di rigetto e la percentuale di successo della procedura è molto alta, ovvero pari al 93% a due anni».
Una volta impiantato, il cilindro offre un supporto alle cellule staminali del tessuto che possono quindi differenziarsi in cellule del tessuto osseo o cartilagineo. Le lesioni superficiali della cartilagine vengono quindi riparate. Essendo biodegradabile, il dispositivo viene poi riassorbito dall’organismo.
Stefania Somaré