Molte delle amputazioni di arto inferiore effettuate a livello mondiale hanno una causa non traumatica, essendo conseguenti a una serie di patologie croniche di origine vascolare, oppure a tumore o, ancora, a infezioni o malformazione congenita degli arti.
Quando si parla di patologie vascolari ci si riferisce anche a quelle secondarie al diabete che, in effetti, sembra essere una delle più comuni cause di amputazione minore, ovvero al di sotto della caviglia, avendo anche una certa influenza sul numero di amputazioni maggiori.
Dati dell’Istituto Superiore di Sanità riferiscono che il 60% dei ricoveri annui per amputazione, in Italia, sono legati proprio a effetti secondari al diabete.
Gli stessi dati sottolineano che le amputazioni di gamba avvengono prevalentemente negli uomini e che la loro incidenza cresce di pari passo con l’età del paziente. Date queste informazioni, è lecito ipotizzare che il numero di amputazioni di gamba crescerà nel tempo: da un lato, infatti, la popolazione mondiale è sempre più longeva e, dall’altro, il diabete è una patologia sempre più diffusa, non solo nei Paesi ricchi, ma anche in quelli emergenti. L’OMS ricorda che la maggior parte dei pazienti con diabete, ovvero 422 milioni di persone al mondo, vivono proprio nei Paesi poveri o a medio reddito.
Stando così le cose, diventa essenziale non solo lavorare sulla prevenzione primaria e secondaria per ridurre il numero di pazienti affetti da diabete e quelli che arrivano all’amputazione, ma anche studiare protocolli ad hoc che consentano ai pazienti amputati di vivere una vita il più possibile autonoma.
Una review canadese si è concentrata sulla riabilitazione di pazienti over 80 sottoposti ad amputazione di arto inferiore: sembra infatti, come sottolineato dagli stessi autori nel loro abstract, che questo sia un aspetto poco trattato in letteratura.
In effetti, su 11.738 articoli individuati da una prima ricerca su vari motori di ricerca scientifici solo 10 hanno soddisfatto i criteri di inclusione essendo incentrati su tre particolari aspetti: amputazione a livello transtibiale o superiore; età dei pazienti di 80 anni al momento dell’amputazione; outcome dei percorsi riabilitativi. Per fortuna, gli studi inclusi nel lavoro canadese sono ricchi di particolari, permettendo così di giungere a conclusioni interessanti.
Sono stati infatti presi in considerazione gli outcome generali dell’amputazione, gli outcome relativi alla protesi e le abilità funzionali. Ciò che si desume da questa revisione è che, se opportunamente riabilitati e guidati, anche i pazienti anziani riescono a imparare a utilizzare la protesi e possono essere dimessi direttamente a casa, riuscendo anche a condurre delle attività in autonomia o con un piccolo supporto.
Un obiettivo importante da raggiungere per consentire a questi soggetti di vivere una vita di qualità e di essere attivi a livello personale, ma anche famigliare e sociale. Gli autori sottolineano quindi che l’età non deve essere motivo per escludere un paziente anziano dalle attività riabilitative. La revisione è stata condotta da una serie di Istituti siti nello stato dell’Ontario: University of Western Ontario, McMaster University e Parkwood Institute.
(Lo studio: Frengopoulos C, Fuller K, Payne MWC, Viana R, Hunter SW. Rehabilitation outcomes after major lower limb amputation in the oldest old: a systematic review. Prosthet Orthot Int. 2021 Oct 22. doi: 10.1097/PXR.0000000000000038. Epub ahead of print. PMID: 34693938)
Stefania Somaré