L’acondroplasia è una patologia genetica rara (colpisce 1 bambino ogni 25.000 nati vivi) che colpisce lo sviluppo dello scheletro, determinando bassa statura, arti corti rispetto al tronco, testa molto più grande del corpo, anomalie nel volto.
Si tratta di una forma di nanismo che, se non trattata adeguatamente, toglie autonomia all’individuo.
L’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano ha un protocollo ortopedico ad hoc e ben rodato per questi pazienti: si procede con l’allungamento degli arti riuscendo, nell’arco di qualche anno, a portare il paziente a 1,50 metri di altezza.
Il dottor Antonio Memeo, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia Pediatrica dell’ASST Gaetano Pini-CTO ed esperto nella tecnica dell’allungamento degli arti, sottolinea che il protocollo è faticoso per il paziente e la sua famiglia, che necessitano anche di un sostegno psicologico.
«L’allungamento degli arti risolve la problematica della lunghezza degli arti se le operazioni chirurgiche sono eseguite in età pediatrica quando ossa e cartilagine sono in fase di sviluppo. L’ospedalizzazione non dura molto, sono le cure domiciliari postoperatorie, alternate alle visite ambulatoriali, a protrarsi nel tempo. Per questo il primo punto da cui parte il nostro iter è sincerarci, anche avvalendoci di un supporto psicologico, che sia il bambino sia la famiglia siano pienamente consapevoli del percorso. Per questo, da anni ci avvaliamo del supporto dell’Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia (AISAC ODV), formata da genitori e pazienti acondroplasici».
Come si configura il percorso? Di norma si parte ai 6 anni di età, con un allungamento in cinque tempi, per finire ai 15 anni. Si lavora in maniera alternata su tibie e femori e l’ultimo intervento è sugli arti superiori.
«Con questo procedimento otteniamo un allungamento complessivo degli arti inferitori tra 28 e 35 centimetri e raddoppiamo la lunghezza degli omeri», spiega il dottor Memeo.
Il processo comincia con l’osteotomia, ovvero la sezione dei segmenti ossei che vengono distanziati: «le nostre ossa sono in grado di rigenerarsi. Ogni giorno l’osso ricresce di un millimetro però questa crescita deve essere guidata e a farlo sono i fissatori esterni, una sorta di gabbie metalliche attaccate agli arti, ideate dal dott. Ilizarov alla fine degli anni ‘70, che immobilizzano gli altri e al contempo provocano una trazione scheletrica da cui scaturisce l’allungamento. Un procedimento del tutto assimilabile avviene con il chiodo endomidollare».
Essenziali, le cure domiciliari che possono evitare l’insorgere d’infezioni.
Stefania Somaré