Nel corso dell’inverno e primavera scorsi la maggior parte dei servizi di chirurgia ha lavorato solo per casi di emergenza/urgenza e per eseguire interventi non differibili: solo nella fase 1 della pandemia sono stati rinviati e riprogrammati circa 35.000 interventi di ortopedia, mentre le liste d’attesa per assistenza ambulatoriale e chirurgica si sono allungate a sei mesi.
Questa situazione richiede un intervento e un cambio di strategia.
È quanto emerso nel corso del Virtual SIOT 2020, il Congresso della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT), svoltosi il 6 e il 7 novembre scorsi.
Sul tavolo della discussione, la necessità di ridefinire le liste d’attesa, regolamentare i flussi negli ospedali, riorganizzare il rapporto pubblico/privato affinché si possano portare avanti gli interventi, coinvolgendo tutto il territorio nazionale, e aumentare gli investimenti in nuove tecnologia.
Il prof. Francesco Falez, presidente SIOT, ha dichiarato: «le importanti limitazioni che tutti noi stiamo sperimentando investono, in campo sanitario, anche l’assistenza ortopedica, che non meno di altre ha risentito e risentirà delle restrizioni imposte dalla crisi sanitaria in corso.
Restrizioni che tuttavia non ci impediscono di cogliere l’opportunità di ridefinire il percorso di assistenza attraverso nuove strategie di comunicazione, formazione e aggiornamento, sviluppando percorsi di collaborazione con le aziende pubbliche e private di settore, con cui dovremo essere ancora più partner negli anni a venire.
Questo significa ridisegnare il rapporto virtuoso tra pubblico e privato, in termini sia di strutture sia di finanziamento, in modo di garantire al settore ortopedico l’impiego delle necessarie tecnologie e il raggiungimento di elevati standard di cura e assistenza».
A queste parole si sono aggiunte quelle di Alberto Momoli, vicepresidente SIOT e direttore della UOC di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza: «l’invecchiamento della popolazione legato a una maggiore longevità rende prioritario ridefinire nuovi parametri nella definizione del paziente fratturato e fragile, attraverso un dialogo con le principali società scientifiche coinvolte.
Oggi una persona di 80 anni è ancora in attività e necessita di una riabilitazione e di un recupero completo a seguito di un eventuale intervento.
In questo scenario, con le terapie intensive occupate, un ritardo nell’assistenza del paziente fragile può verificarsi e il rispetto della soglia delle 48 ore per il trattamento è uno degli aspetti più critici ai quali siamo chiamati a rispondere noi ortopedici, soprattutto in una fase così complessa, migliorando il dialogo con i pazienti anziani per sottolineare quanto sia fondamentale un’attività fisica costante, da svolgere anche nelle proprie abitazioni, ma senza esagerazioni per evitare le complicanze dovute a una possibile frattura legate a una maggiore fragilità ossea».
Stefania Somaré