Inseriti in un percorso di cura multidisciplinare, esercizio fisico, rinforzo muscolare e sport a bassa intensità possono contribuire a ridurre la rigidità articolare dei pazienti.
Con un’incidenza di circa 14,3 persone ogni 100 mila adulti, le spondiloartriti interessano in Italia circa 600 mila soggetti, con una prevalenza nel genere maschile, dato che colpiscono i maschi in un rapporto 3:2 rispetto alle femmine, e con età media di esordio compresa tra i 18 e i 35 anni.
La patologia determina in primis uno stato infiammatorio a carico delle articolazioni della colonna vertebrale, anche se possono essere coinvolte le articolazioni periferiche.
I sintomi predominanti sono il gonfiore e il dolore lombare, spesso più intenso di notte, accompagnato da limitazioni funzionali che, se non identificate e trattate precocemente, possono diventare vere e proprie disabilità.
Accanto alla sintomatologia fisica, si sviluppano spesso problematiche psico-sociali dovute a paura, ansia e alla difficoltà di vivere una vita piena e attiva. Le spondiloartriti sono state al centro di un Congresso tenutosi presso l’Università di Padova a metà ottobre 2024.
Promotore, la professoressa Roberta Ramonda, vicepresidente della Fondazione Italiana per la Ricerca in Reumatologia (FIRA). Durante l’evento si è parlato anche dello sport come chiave terapeutica per il trattamento di queste patologie.
Il ruolo dello sport nel percorso multidisciplinare
Se una volta il paziente colpito da spondiloartrosi aveva poche opportunità terapeutiche, oggi grazie alla ricerca può seguire dei percorsi multidisciplinari che lo prendono in carico a 360 gradi rispetto alla patologia sviluppata.
Queste le figure che dovrebbero far parte del percorso: reumatologi, medici dello sport, fisiatri, geriatri e nutrizionisti. Per ottenere buoni esiti è però necessario che la diagnosi sia precoce, così da poter avviare il percorso di cura quando ancora la patologia è poco diffusa. Se il trattamento è tempestivo e il paziente collaborativo, si ottengono anche casi di remissione.
Quali sono i punti salienti di questo trattamento? Certamente i nuovi farmaci biotecnologici che agiscono contro le proteine pro-infiammatorie, in particolare anti TNF alfa, anti CTLA4 e anti JAK, combinati con i farmaci più tradizionali, come corticosteroidi, FANs e DMARD.
La terapia farmacologica deve, però, essere sostenuta da una buona qualità nutrizionale e dal movimento fisico. In questi pazienti è importante raggiungere un potenziamento muscolare che va a proteggere le articolazioni. Utile anche la fisiochinesiterapia. Possono essere poi necessari supporti di carattere psicoemotivo.
Il prof. Andrea Ermolao, direttore della UOC di Medicina dello Sport e dell’Esercizio Università di Padova, sottolinea che i benefici dell’approccio sportivo possono includere mobilità articolare, postura e flessibilità, “elementi fondamentali per contrastare la rigidità tipica della malattia.
L’attività fisica regolare, in particolare esercizi di allungamento, rafforzamento muscolare e attività aerobiche a basso impatto, come il nuoto o il ciclismo, possono ridurre il dolore, l’infiammazione e la progressione della malattia, migliorando anche la qualità della vita”.
Il programma di allenamento deve essere strutturato da specialisti in modo individuale, basandosi sulla patologia specifica del soggetto.
Perché la nutrizione?
L’aspetto nutrizionale è importante per preservare una vita in salute. Nel caso di patologie già manifeste può supportare la riduzione del processo infiammatorio e aiutare il soggetto a restare, o diventare, normopeso così da non appesantire ulteriormente le articolazioni.
Inoltre, studi recenti hanno individuato un possibile ruolo della disbiosi nella patogenesi delle spondiloartrosi.
Sono informazioni da indagare ulteriormente, ma sembrerebbe che “alterazioni nella composizione del microbiota intestinale possono predisporre sviluppi infiammatori sistemici e influenzare la risposta immunitaria, contribuendo così all’insorgenza e alla progressione della malattia”, spiega il prof. Francesco Ciccia, professore ordinario di Reumatologia presso l’Università degli Studi della Campania Vanvitelli e membro del comitato scientifico FIRA.
“Inoltre, la disbiosi potrebbe essere responsabile anche dell’alterazione dei meccanismi immunologici che caratterizzano le spondiloartriti, determinando così una risposta infiammatoria esagerata”.