Prototipo CNR per la riabilitazione bilaterale dell’arto superiore

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Sono molte le patologie neurologiche che hanno effetti negativi sulla funzionalità motoria dell’arto superiore. L’ictus è una di queste, ma anche la paralisi cerebrale infantile e la sclerosi multipla hanno questo effetto.
In questi pazienti la riabilitazione ha un ruolo fondamentale perché consente di rallentare il deterioramento della funzionalità del braccio o, come nel caso di coloro che hanno subito un ictus, di migliorarla. Pertanto è importante non solo studiare protocolli e strumenti ad hoc per rendere questo percorso altamente efficace, ma anche stimolare la volontà del paziente, che deve mantenere alto il proprio impegno anche per lunghi periodi.

In quest’ultimo caso, si parla di engagement, ovvero della capacità di coinvolgere il paziente nel processo riabilitativo. Le strade per raggiungere questo obiettivo sono diverse, andando dalla realtà virtuale immersiva all’uso del gaming. Ognuna di queste modalità può essere più o meno adeguata a una certa categoria di pazienti, ma hanno il pregio di stimolarli e farli divertire, rendendo il gesto riabilitativo meno noioso e faticoso.

Al momento esistono sul mercato una serie di dispositivi per la riabilitazione, spesso grandi e ingombrati e dedicati a uno o pochi più gesti riabilitativi. Dato il numero crescente di pazienti neurologici che necessitano di riabilitazione motoria, tuttavia, la tendenza è di spostare parte della riabilitazione a domicilio del paziente, secondo il principio della medicina di prossimità. Servono allora soluzioni leggere, trasportabili, e possibilmente flessibili, che permettano al riabilitatore di allenare in modo completo il proprio paziente. PhiCube è un dispositivo per la riabilitazione bilaterale dell’arto superiore che soddisfa proprio queste caratteristiche.

«Il disegno del nostro prototipo», spiega l’ing. Matteo Malosio dell’Istituto di Sistemi e Tecnologie Industriali Intelligenti per il Manifatturiero Avanzato del CNR e tra gli ideatori del dispositivo, «è semplice: si tratta di un cubo di circa 15 cm di lato, al cui interno stanno i sistemi di comando e controllo e i sensori, dal quale escono due assi allineati rotativi e motorizzati, che possono essere orientati per lavorare nelle tre direzioni principali, frontale, laterale e orizzontale. Completano il dispositivo una serie di manopole, manovelle e leve che consentono al paziente di svolgere vari movimenti riabilitativi a carico di spalle, gomiti e polsi, il tutto in modo equilibrato. È inoltre possibile pensare a diversi abbinamenti dei manipoli per creare percorsi di diversa complessità, adeguati alle esigenze del paziente».

Com’è nata l’idea di questo dispositivo? «Tutto è iniziato con il Progetto Giocabile di Cariplo CREW. L’obiettivo era creare un videogioco che fosse giocabile, appunto, anche da bambini con problematiche neurologiche, in particolare affetti da Paralisi Cerebrale Infantile. Questi bambini hanno spesso difficoltà con il movimento fine e non riescono a utilizzare i normali controller da videogiochi; quindi, oltre all’interfaccia abbiamo dovuto pensare a un dispositivo che fosse per loro semplice da usare».
Malosio e i suoi colleghi, hanno così ideato PhiCube, con l’aggiunta di particolari soluzioni tecniche che lo rendono adeguato anche per un utilizzo riabilitativo e per altri pazienti neurologici, tra i quali anche i pazienti post ictus. Brevettato di recente, il dispositivo è stato presentato a “Exposanità 2022” per avere un primo riscontro da personale specializzato.
«Abbiamo avuto un riscontro davvero interessante: flessibilità e trasportabilità sono piaciuti molti ai fisioterapisti e a chi lavora in ambito riabilitativo, ma in generale l’idea è stata apprezzata anche da medici e fisiatri».

Come accennato, si tratta di un dispositivo per la riabilitazione bilaterale. «Ci sono evidenze in letteratura che sfruttare le capacità dell’arto più sano per riabilitare l’arto leso dà ottimi benefici. Ecco perché in PhiCube c’è un sistema di controllo e attuazione che, quando necessario, è in grado di supportare i movimenti all’arto leso sulla base dei movimenti di quello leso. Inoltre, durante gli esercizi riabilitativi, il dispositivo è in grado di aiutare i pazienti quando questi non riescono a completare un movimento. L’intento è di rendere automatica la regolazione del livello di assistenza, sulla base del livello di capacità motoria del paziente».
Per quanto riguarda l’engagement, al momento il dispositivo sfrutta per lo più feedback visivi, come giochi e applicazioni: ecco allora che il paziente può guidare il proprio avatar a camminare su una corda, oppure a remare su una barca in mezzo al fiume. Essendo un prototipo, PhiCube è ovviamente ancora passabile di migliorie… per esempio, Malosio e colleghi hanno l’idea è di affiancare agli stimoli visivi anche quelli uditivi. Inoltre, sono previsti dei test di usabilità nelle prossime settimane.

Come avanzerà questo progetto? «Lo scorso novembre abbiamo vinto un percorso di incubazione messo in palio da Bio4Dreams, un incubatore certificato di startup innovative in fase very early stage dedicato alle scienze della vita. Al momento con il loro supporto stiamo lavorando a un business plan, necessario sia per chiedere l’autorizzazione al CNR per fondare uno spin-off, sia per cercare nuovi partner disposti a finanziare lo sviluppo del dispositivo e gli studi clinici. Abbiamo già contatti con alcune realtà cliniche di riabilitazione, dove vorremmo verificare l’efficacia di PhiCube. Ci piacerebbe molto poterlo fare in più centri, anche tramite studi multicentrici. Inoltre, ogni equipe riabilitativa ha proprie peculiarità e lavorare con più di una consentirebbe di sperimentare PhiCube in diversi contesti».
D’altronde, è proprio dall’incontro di diverse professionalità che possono nascere idee per migliorare un device, che sia o meno un dispositivo riabilitativo. Nel caso di PhiCube è già successo, proprio durante Exposanità 2022.

«Uno dei professionisti che si è fermato al nostro stand ci ha chiesto se PhiCube fosse predisposto per eseguire un determinato esercizio riabilitativo. In quel momento non lo era, ma parlandone abbiamo capito che sarebbe stato possibile e come farlo», conclude Malosio.
La riprova che il confronto è fondamentale. Al progetto lavorano, insieme a Malosio, anche Matteo Lavit Nicora, Davide Felice Redaelli, Giovanni Tauro e Atul Chaudhary.

Stefania Somaré