Protesi per le piccole articolazioni della mano, l’esperienza del Gemelli

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Vincent J. Mazzone

Ci sono mani che non sono più in grado di impugnare una penna o infilare un bottone in un’asola a causa dell’artrosi o dell’artrite reumatoide. Ci sono altresì giovani mani colpite da un trauma (per esempio, una sub-amputazione) che possono recuperare funzionalità solo grazie a una complessa ricostruzione.

«Si possono sostituire le articolazioni dell’anca, del ginocchio o della spalla con delle protesi», afferma il dottor Vincent Joseph Mazzone, direttore della Unità Operativa Complessa di Chirurgia della Mano della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs. «Si può fare la stessa cosa con le piccole articolazioni delle mani. Esistono protesi articolari per le articolazioni delle dita (interfalangee e metacarpo-falangee), per quelle alla base del pollice (articolazione trapezio-metacarpale) e per il polso.
L’obiettivo di questi interventi è eliminare il dolore e mantenere o recuperare la funzionalità articolare».

Vincent Joseph Mazzone

La novità in questo campo, tuttavia, non riguarda tanto le protesi quanto le nuove tecniche chirurgiche, che oggi sono meno invasive e consentono una mobilizzazione precoce (pressoché immediata) dell’articolazione, il che permette, con l’aiuto di fisioterapisti della mano, un recupero molto più rapido.

«Le vecchie tecniche chirurgiche», spiega il dottor Mazzone, «prevedevano la sezione dei tendini per poter arrivare alle articolazioni e protesizzarle. Con la nuova tecnica di accesso laterale, messa a punto da noi, possiamo risparmiare i tendini flessori ed estensori della mano, permettendo appunto al paziente di muovere subito la mano».

Le novità nel campo delle protesi riguardano sia i nuovi disegni sia i materiali.
«Quelle più performanti per le articolazioni interfalangee sono in silicone, mentre per le articolazioni metacarpo-falangee i migliori risultati si ottengono con le protesi anatomiche (che mimano cioè la forma delle articolazioni); tra le più utilizzate, quelle in pirocarbonio.

Per quanto riguarda l’articolazione alla base del pollice, le protesi di ultima generazione mimano nel disegno e nei materiali (es. metallo e ceramica) quelle utilizzate per l’anca».

L’ultima frontiera, la più difficile, riguarda l’articolazione del polso.

«La sopravvivenza media delle protesi impiantate a questo livello è ancora bassa, una su quattro non supera i 5 anni di vita (per contro, la vita media di una protesi dell’anca è di 30 anni e quella di una protesi del ginocchio di 20 anni).

Si sta lavorando molto allo studio della biomeccanica, ma è ancora difficile replicare il movimento perfetto di un polso sano. Riteniamo che l’esatta geometria dell’impianto finale debba essere perseguita al millimetro per avere successo».

Le protesi delle articolazioni delle mani vengono impiantate in anestesia loco-regionale e in genere vengono effettuate in regime di day hospital, dopodiché il paziente viene inserito in un programma riabilitativo con un fisioterapista della mano.