Sono circa 12 ogni 100.000 le persone che annualmente ricevono una diagnosi di malattia di Parkinson, con percentuali di incidenza che aumentano al crescere dell’età e che sono di circa l’1% dopo i 60 anni e del 4% dopo gli 85 anni.
Esiste una lieve maggioranza di pazienti maschi rispetto alle femmine, con un rapporto di 6 a 4. Non sono rari casi di Parkinson giovanile.
Tremore a riposo, rigidità plastica e bradi-ipocinesia sono i sintomi caratteristici di questa malattia e sono noti come triade parkinsoniana.
All’avanzare della patologia possono poi comparire instabilità posturale e difetti nella marcia, come il piede congelato.
Altro aspetto importante, i sintomi si presentano di solito in modo asimmetrico. L’instabilità posturale potrebbe essere determinata in parte dalla debolezza dei muscoli erettori della colonna vertebrale, ovvero il muscolo ileocostale, il muscolo lunghissimo e il muscolo spinale.
Tuttavia, come evidenziato da uno studio giapponese, non vi è certezza dell’affaticabilità di questi muscoli nei pazienti parkinsoniani.
Di qui l’idea di allestire uno studio ad hoc, per indagare questo aspetto e anche per paragonare l’estensione massima di contrazione volontaria dei tronco nei pazienti.
I partecipanti erano 19 donne affette dalla malattia neurodegenerativa, i cui risultati sono stati confrontati con quelli di 9 donne sane.
I soggetti partecipanti a questo studio pilota sono stati sottoposti al test di resistenza della schiena di Sørensen, mentre gli autori ne registravano i dati di attività muscolare con un’elettromiografia di superficie. Da qui i ricercatori hanno calcolato l’indice di affaticabilità.
Il risultato principale è molto forte. Ben 9 delle donne con Parkinson non sono riuscite a eseguire il test di Sørensen, mentre le altre 10 hanno ottenuto risultati decisamente inferiori a quelli del gruppo di controllo. Non solo i muscoli erettori della colonna vertebrale di queste donne si sono mostrati più deboli di quelli delle donne sane, ma anche il tempo in cui queste sono riuscite a mantenere la posizione è stato decisamente più breve.
Nessuna differenza significativa è invece stata trovata nella pendenza della frequenza mediana tra lato destro e sinistro della colonna. Questo valore, inoltre, è risultato decisamente superiore nelle donne con Parkinson rispetto alle altre.
Benché si tratti di uno studio pilota, i risultati suggerisono che chi opera con questi pazienti deve porre attenzione anche alla forza dei loro muscoli erettori della colonna vertebrale, magari allestendo percorsi di riabilitazione e rinforzo fin dai primi stadi della malattia, così da prevenire peggioramenti della postura.
Allo studio hanno partecipato la Iwate Medical University, la Wakayama Medical University e tre ospedali (Wakayama Medical University Hospital, Konan Medical Center di Huogo e Kokura Rehabilitation Hospital di Fukuoka).
Stefania Somaré