Nel febbraio 2022 l’ente regolatorio italiano ha autorizzato l’immissione in commercio di romosozumab, un anticorpo monoclonale indicato per il trattamento delle donne in post-menopausa con osteoporosi severa, caratterizzata cioè da bassa densità ossea e pregressa frattura.
L’agenzia e il produttore non avevano, però, concluso l’accordo sulla rimborsabilità.
Oggi l’intesa è stata trovata, come annunciato durante il 22° congresso nazionale della Siommms – Società Italiana dell’Osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro, svoltosi a Bari dal 13 al 15 ottobre.
Nel corso dell’evento, Salvatore Minisola, professore ordinario di Medicina Interna all’Università La Sapienza di Roma, ha spiegato il meccanismo d’azione della nuova molecola.
«Questo farmaco, definito bone builder, si lega alla sclerostina ̶ una proteina prodotta dagli osteociti che frena l’attività degli osteoblasti – e ne blocca l’azione, incrementando la formazione di nuovo tessuto osseo e riducendo il riassorbimento del tessuto esistente».
Due studi di fase 3
L’efficacia del medicinale è stata dimostrata da due studi di fase 3, randomizzati e in doppio cieco.
Il primo studio, chiamato Frame e pubblicato sul Journal of bone and mineral research, ha coinvolto 7.180 donne in post-menopausa con osteoporosi, di età compresa tra i 55 e i 90 anni, divise in due gruppi: 3.589 hanno ricevuto il principio attivo, 3.591 il placebo per un anno.
Dopo 12 mesi, le nuove fratture della colonna vertebrale, rilevate mediante radiografia, sono state 16 nel primo gruppo e 59 nel secondo.
Nel secondo anno della ricerca, a tutte le partecipanti è stato somministrato denosumab, un agente anti-riassorbimento: nel gruppo che ha ricevuto romosozumab seguito da denosumab sono state registrate 21 fratture vertebrali, in quello che ha ricevuto il placebo seguito da denosumab 84.
Il secondo studio, chiamato Arch e pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha interessato 4.093 donne in post-menopausa con osteoporosi severa, di età compresa tra i 55 e i 90 anni, divise in due gruppi. 2.046 hanno ricevuto romosozumab per un anno seguito da alendronato, un medicinale standard per il trattamento della malattia, una volta alla settimana per il secondo anno, mentre 2.047 hanno assunto alendronato una volta alla settimana per entrambi gli anni.
Dopo 24 mesi, le nuove fratture della colonna vertebrale, evidenziate tramite radiografia, sono state 127 nel primo gruppo e 243 nel secondo.
Le fratture in generale, sia della colonna vertebrale sia in altri siti, sono state 198 nel primo gruppo e 266 nel secondo.
Eventi avversi
Tra gli effetti collaterali più comuni di romosozumab si annoverano dolore articolare e cefalea.
Molto raramente alcuni pazienti possono andare incontro a perdita di tessuto osseo (osteonecrosi) nella mascella e a fratture atipiche del femore.
Una dose di romosozumab consiste in due iniezioni, una successiva all’altra, da somministrare una volta al mese per un massimo di 12 mesi.
«Lo schema di assunzione è semplice e questo favorisce l’aderenza alla terapia, fondamentale per raggiungere i risultati terapeutici», ha commentato Minisola.
Paola Arosio