Neurorobotica per riabilitare l’immagine corporea

Quando si parla di malattia e disabilità è importante tenere in considerazione gli aspetti emotivi e psicologici dell’individuo, che possono interferire anche molto nei percorsi terapeutici.
La sindrome dell’arto fantasma è un esempio. Benché l’arto non ci sia più, il soggetto continua a sentirlo come presente, tanto da percepire dolore anche intenso. Se non adeguatamente risolta, questa sindrome si oppone anche a un uso soddisfacende della protesi, facilitandone l’abbandono da parte dell’utente.

L’immagine che si ha del proprio corpo, definita come immagine corporea, non coincide sempre con la realtà: viene costruita nel tempo e si basa su emozioni, percezioni, ricordi, eventi che ci hanno segnato.

Uno studio apparso su Frontiers, presenta la riabilitazione neurorobotica come un possibile strumento per studiare al meglio i meccanismi alla base della costruzione dell’immagine corporea e per contribuire a renderla più attuale e simile alla condizione del qui e ora.

Dal punto di vista dello studio dell’immagine corporea, i sistemi aptici e, in generale, la robotica, può portare un contributo interessante, fornendo grandezze oggettive e misurabili.
Questa tecnologia, estremamente affascinante, viene poi presentata con una serie di esempi dagli autori del lavoro, ricercatori svizzeri dell’Alta Scuola di Specialità del Suisse occidentale (HES-SO) Valais-Wallis, dell’Università di Losanna e del Sense Innovation and Research Center, e italiani, dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.

In ambito ortopedico l’uso di interfaccia neurali, invasive o meno, si sta dimostrando utile nel ristabilite il tatto in soggetti con disabilità somatosensoriali. Un aspetto utile anche nel processo di riconoscimento di una protesi robotica, che richiede di recuperare la percezione tattile per effettuare movimenti fini e perché l’utente senza propria la protesi.

Esistono, però, studi nei quali la combinazione tra realtà virtuale e stimolazioni elettrocutanee non invasive, per esempio, consente di ridurre l’effetto telescopico o la percezione di spostamento dell’arto fantasma.
In altri lavori, il risultato viene raggiunto con una stimolazione diretta di certi nervi o in altri modi.
Per esempio, una stimolazione intraneurale può offrire un feedback tale a un utente di protesi da fargli sentire il dispositivo come leggero, mentre di solito questo viene percepito come molto pesante, nonostante il peso reale sia sempre inferiore a quello della gamba nativa. Certo, gli studi incentrati su questi temi sono ancora pochi e spesso incentrati su pochi pazienti.

I risultati sono interessanti. Oltre agli amputati, anche i pazienti che hanno subito un ictus potrebbero beneficiare della neuro-riabilitazione robotica: questa potrebbe, per esempio, ristabilire la corretta percezione dell’arto leso, facilitando il percorso riabilitativo.
Inoltre, come già detto, l’uso di questi dispositivi potrebbero oggettivizzare le misurazioni, favorendo studi più precisi del diverso impatto dell’immagine corporea su vari tipi di patologie.

(Lo studio: Front. Neurorobot., 08 September 2022. https://doi.org/10.3389/fnbot.2022.964720)

Stefania Somaré