Oltre a consentire di scaricare il peso del corpo a terra, la caviglia permette al piede la flessione del dorso o della pianta, la sua inversione ed eversione e rotazioni verso l’esterno o l’interno, movimenti in parte fondamentali per camminare, correre, salire e scendere le scale. La sua struttura limita questi movimenti per evitare fratture e distorsioni.
L’intenso stress fisico al quale è sottoposta la caviglia, però, soprattutto durante l’attività sportiva, può portare a lesioni traumatiche di varia gravità fino alla frattura. Proprio per la complessità di questa articolazione, la fase di riabilitazione può essere impegnativa e richiedere, nelle fratture più complesse, fino a tre mesi per il ritorno all’attività sportiva.
«In attesa di iniziare il percorso riabilitativo posto-chirurgico, che inizia dopo il consolidamene della ferita», spiega Cristiano Fusi, direttore del reparto di Riabilitazione degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, «si possono prescrivere terapie fisiche (la magnetoterapia, per esempio, stimola la formazione del callo osseo, favorendo il processo di guarigione), come pure una terapia farmacologica può essere indicata per lenire il dolore, mentre alcuni integratori alimentari o fitoterapici possono favorire il riassorbimento dell’edema dovuto al trattamento chirurgico. In questa fase è indicato anche l’uso di un tutore semirigido, che contiene l’articolazione e previene il rischio di ulteriori traumi distorsivi alla ripresa dell’attività quotidiana. Il tutore andrà abbandonato progressivamente, su indicazione del medico in concertazione con il fisioterapista, solo quando la caviglia sarà stabile».
Recuperare la propriocettività
La riabilitazione dovrà essere sia attiva sia passiva e avrà l’obiettivo di riportare il paziente a una condizione il più possibile vicina a quella precedente il trauma, superando a ogni seduta la soglia del dolore per recuperare i gradi di flessione ed estensione della caviglia.
«Gli obiettivi del trattamento riabilitativo riguardano il recupero dell’articolarità, della forza e della propriocettività. A seguito del trauma, la caviglia perde infatti la sua capacità di informare il corpo sul senso di equilibrio, di movimento: può essere rieducata attraverso le classiche tavolette propriocettive oltre che con pedane materassini di propriocezione o con i più recenti tappeti propriocettivi in grado di riprodurre i diversi tipi di terreni: duri, morbidi, sabbiosi.
Il recupero dell’articolarità, invece, avverrà da una parte attraverso trattamenti manipolativi da parte del fisioterapista, finalizzati alla rieducazione motoria, e dall’altra con esercizi proposti dal fisioterapista che il paziente eseguirà a casa».
La compliance del paziente è fondamentale per un buon recupero articolare, che prevede anche la rieducazione in acqua.
«L’assenza della forza di gravità permette all’articolazione di lavorare in condizioni di scarico. La riabilitazione in acqua inizia quando la caviglia ha raggiunto un discreto grado di mobilizzazione. Su indicazione del fisioterapista, il paziente inizierà a camminare, saltellare, fare esercizi di circonduzione del piede e, in piscine attrezzate con ancoraggi, usare gli elastici, sfruttando quindi anche la resistenza in acqua».
Un percorso impegnativo
Quella della caviglia non è una riabilitazione semplice, ma di solito i risultati sono soddisfacenti. I tempi di recupero variano da 40-60 giorni a 3 mesi delle fratture più complesse.
«Si lavora su qualcosa di alterato: sono alterati i capi ossei, sono cambiati i rapporti articolari del pre-trauma», prosegue Fusi. «La presenza di mezzi di sintesi interni, estranei alla caviglia, portano tumefazione e possono causare un aumento di volume della circonferenza della caviglia, che si presenta gonfia e dolorante a fine giornata. Ciò può mettere alla prova la compliance del paziente, che va costantemente motivato durante l’intero percorso riabilitativo a collaborare in modo attivo. Possono manifestarsi anche complicanze come la più temuta algodistrofia, irritazione cronica della parte capsulo-legamentosa che porta alla formazione di edema osseo, accompagnato da dolore intenso. Questa patologia è legata all’uso dell’apparecchio gessato in fratture composte: per questo, dove non vi siano controindicazioni o complicanze, è opportuno iniziare la mobilizzazione il prima possibile». (articolo completo nel numero di febbraio 2019 di Ortopedici&Sanitari)