Uno studio statunitense mostra esiti nettamente migliori in pazienti che iniziano la riabilitazione entro sei settimane dall’intervento.
Durante il recente congresso annuale della North American Spine Society sono stati presentati i dati di un lavoro di Eeric Truumees, chirurgo presso la Cleveland Clinic Foundation e il William Beaumont Hospital e professore presso la Dell Medical School di Austin, in Texas.
Focus della presentazione, il recupero postoperatorio di pazienti sottoposti a una fusione cervico-toracica, necessaria per esempio in presenza di degenerazione dei dischi cervicali o di altre alterazioni della colonna in questa zona. In particolare, l’attenzione dello specialista e dei suoi colleghi è andata al ruolo della riabilitazione postoperatoria.
Le caratteristiche dello studio
Nello studio condotto gli autori hanno confrontato l’allineamento delle vertebre e il miglioramento del dolore in pazienti che hanno iniziato la terapia riabilitativa entro le 6 settimane dell’intervento o dopo: i risultati sono chiari.
La fisioterapia precoce aiuta i pazienti nello stabilizzare il miglior allineamento possibile della colonna, riduce la rigidità e migliora la forza, il range of motion e il dolore. 105 i pazienti osservati: 58 trattati precocemente e 47 oltre le sesta settimana.
Gli autori ne hanno confrontato gli outcome a 2 anni dall’intervento in termini di miglioramenti radiografici nella lordosi lombare, pendenza T1, distanza tra il filo a piombo e C2-C7 sul piano sagittale, scala VAS del dolore e score Oswestry Disability Index (ODI).
Gli effetti della riabilitazione precoce
Dal confronto tra le 2 coorti emerge chiaramente che chi viene sottoposto a un percorso fisioterapico precoce raggiunge esiti migliori a lungo termine. Per esempio, la lordosi cervicale migliora del 25,2% rispetto al 14,2%, la pendenza T1 si riduce del 5,6% rispetto al 2,6% e la distanza C2-C7 che si riduce del 15,2% rispetto all’11,7%.
Inoltre, i soggetti sottoposti a riabilitazione precoce mostrano anche parametri migliori per quanto riguarda il dolore e l’ODI, che migliora del 46,3% rispetto al 29,6%. Nessuna differenza è invece stata trovata in termini di deiscenza fasciale, complicazioni della ferita o dell’impianto e pseudoartrosi.
(Lo studio: Truumees E, et al. Paper 188. Presented at: North American Spine Society Annual Meeting; Oct. 18-21, 2023; Los Angeles)