Dupuytren, quando le dita si ritraggono

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Patologia invalidante che nelle sue forme più aggressive rende difficili i comuni gesti quotidiani, la malattia di Dupuytren ha un decorso anarchico, può aggravarsi rapidamente come evolversi lentamente o niente affatto dopo la comparsa dei caratteristici noduli. Nelle forme più gravi l’indicazione è chirurgica. Il tutore post operatorio è dinamico per porre il dito in stress estensorio.

Patologia abbastanza comune nelle popolazioni caucasiche e del Nord Europa, la malattia di Dupuytren colpisce in prevalenza il sesso maschile in età matura. Pur non esistendo dati epidemiologici definitivi, si stima che il 50% della popolazione maschile nei Paesi del Nord Europa − Svezia, Norvegia e Finlandia − soffra del morbo di Dupuytren.

Si tratta di una patologia invalidante, a carico principalmente della mano, che provoca una flessione permanente di uno o più dita a seguito della formazione di noduli fibrosi nel palmo della mano, i quali, con l’evoluzione della malattia, si organizzano in veri e propri cordoni che esercitano una trazione su uno o più segmenti digitali. Quando i noduli sono molto voluminosi e si organizzano in cordoni ritraendo le dita, l’indicazione è chirurgica con tecniche differenti, efficaci ma non sempre risolutive a causa delle recidive che caratterizzano questa patologia.

Tutto parte dai geni

Il morbo di Dupuytren è una malattia d’impronta genetica. «La noxa patogena che s’innesca sul gene di cui si è portatori dello sviluppo della malattia non è nota», spiega il dottor Carlo Grandis, responsabile dell’Unità di Chirurgia della Mano I presso l’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano – Gruppo ospedaliero San Donato.

«Si sono avanzate varie teorie ma nessuna ha dimostrato scientificamente la sua validità. È una malattia che si può manifestare anche al piede – in questo caso parliamo di malattia di Ledderhose – o al pene – malattia di La Peyronie, anche se la maggiore frequenza si riscontra nell’ambito della mano e bilateralmente. L’incidenza statistica è abbastanza alta soprattutto negli over 50 e lo sviluppo non è legato a un overuse della mano in seguito a una particolare attività lavorativa, anche se il sovraffaticamento della mano può aggravare la malattia quando essa è già in corso. Devo però costatare – a seguito dell’ormai trentennale osservazione e trattamento dei pazienti affetti da questa malattia – che è frequente soprattutto in persone con un habitus psichico del tutto particolare.

È difficile riscontrare un Dupuytren aggressivo nella persona semplice, che tende al riso e al buonumore. Solitamente questa patologia ha un’evoluzione importante in persone pignole, introverse, attente alla propria persona, al mondo che le circonda, con un habitus psichico quindi molto impegnato. Questo suggerisce un collegamento, peraltro non dimostrabile, con il sistema nervoso vegetativo o addirittura con le aree corticali. Abbiamo, inoltre, osservato forme simili di Dupuytren, con inspessimento dell’aponeurosi palmare – anche se con caratteristiche citologiche diverse – in persone che hanno subito traumi cranici, sono state sottoposte a terapie specifiche per malattie del sistema nervoso centrale e in persone che utilizzano psicofarmaci. Questo evidenzia un possibile legame neuro-ormonale, neuro-tissutale, anche se non ci sono evidenze scientifiche a proposito».

Una malattia “anarchica”

Si tratta di una malattia insidiosa da un punto di vista sintomatologico. «Si possono raggiungere stadi estremi senza alcuna manifestazione dolorosa», sottolinea il dottor Grandis. «Si tratta di una malattia, comunque, a sviluppo per così dire “anarchico”: è possibile che dopo la formazione dei noduli semplici non ci sia un’ulteriore evoluzione e sviluppo delle caratteristiche retrazioni delle dita, in altri casi, invece, la patologia subisce accelerazioni veloci».

La malattia esordisce con la formazione di noduli fibrosi nel palmo della mano, i quali si organizzano poi a corona di rosario in un cordone che diventa traente su uno o più segmenti digitali, i quali possono essere tutti indifferentemente colpiti, sia il pollice sia le dita lunghe, impedendo loro di estendersi. «Esiste anche una variante sul dorso della mano, soprattutto a carico delle articolazioni interfalangee prossimali; ma questa difficilmente dà disturbi funzionali», precisa Grandis. «Il paziente lamenta l’impossibilità di estendere le dita interessate, con ripercussioni gravi sulle attività quotidiane, come il banale gesto di lavare la faccia la mattina».

Quattro gradi di gravità

Le alterazioni della malattia di Dupuytren sono divise in 4 gradi: 1° grado presenza di noduli senza retrazione delle dita; 2° grado presenza di noduli con flessione delle dita fino a 90°; 3° grado presenza di noduli con marcata flessione di tutte le falangi da 90° e più; 4° grado presenza di noduli con estensione della terza falange sulla seconda che è flessa a 90° o più. Il grado zero, quindi la formazione di semplici noduli palmari, non ha un’indicazione chirurgica. Quest’ultima è necessaria, invece, quando questi noduli sono molto voluminosi e si organizzano in cordoni ritraendo le dita.

«Se in passato si ricorreva al trattamento chirurgico già nelle fasi iniziali della patologia, in seguito, sia per la scoperta delle cause ereditarie della malattia sia per l’alto tasso di recidività (circa 50%), si è optato per l’indicazione chirurgica soltanto nei casi più gravi», spiega il prof. Giorgio Pajardi, dell’U.O.C. di Chirurgia della Mano presso l’Ospedale San Giuseppe Milano Irccs MultiMedica. La prima tecnica chirurgica per questa patologia fu messa a punto da Guillaume Dupuytren. Il chirurgo di Napoleone Bonaparte balzò alla cronaca per alcuni interventi di successo, tra cui quello effettuato alla mano del cocchiere del famoso imperatore. La sua tecnica nell’eseguire tale intervento fu così innovativa e straordinariamente antesignana che fino a oggi è stata utilizzata per il trattamento dei pazienti affetti da quello che poi ha preso il nome di morbo di Dupuytren.

L’indicazione chirurgica

L’operazione chirurgica richiede esperienza. Le zone sottostanti la fibrosi palmare del Dupuytren sono ricche di strutture tendinee, nervose e vascolari. C’è quindi sempre, nei gradi molto avanzati, la necessità di grande attenzione per non creare danni a queste strutture. È una chirurgia che solo un chirurgo esperto della mano, che si dedichi a questa specialità in modo prevalente, è in grado di affrontare in modo efficace. L’operazione consiste nell’aponeurectomia selettiva, ovvero nella rimozione di quella parte di aponeurosi palmare colpita dalla malattia, preservando le strutture neurovascolari.

«Oggi, alla longeva tecnica di Dupuytren si è affiancata una tecnica rivoluzionaria. Tramite l’infiltrazione di collagenasi di Clostridium histolyticum, questo enzima di origine batterica è in grado di distruggere la membrana di collagene provocata dal morbo, ristabilendo la funzionalità della mano in breve tempo», continua Pajardi. «Una soluzione rapida, non invasiva, che richiede però particolare perizia in fase di infiltrazione del farmaco, che deve essere iniettato in punti precisi per non compromettere l’integrità delle strutture tendinee della mano. Il giorno successivo, in anestesia locale, in sala operatoria viene effettuata una trazione meccanica, anche molto intensa, che consente la definitiva rottura del cordone».

La riabilitazione

La necessità di un percorso riabilitativo dipende dal grado della malattia. Se il tempo intercorso tra il blocco delle articolazioni in flessione e l’atto chirurgico è stato prolungato le articolazioni avranno difficoltà a estendersi anche una volta asportato il cordone fibrotico. In questo caso è indicata una tutorizzazione con splint in estensione progressiva e l’ausilio di una fisioterapia funzionale.

«Il tutore post operatorio su misura, è un tutore dinamico e non di posizione, capace di porre il dito in stress estensorio esercitando una trazione molto delicata», spiega Elena Mancon, fisioterapista dell’U.O.C. di Chirurgia della Mano – Ospedale San Giuseppe Milano/Irccs MultiMedica.
«Si utilizza, allo scopo, una barra di acciaio armonico che, caricata in un senso, dolcemente traziona il dito in estensione. L’indicazione è che il tutore venga portato giorno e notte per i primi 15 giorni, di giorno alternandolo frequentemente con gli esercizi prescritti, dopo di che l’indicazione sarà solo notturna per i successivi tre mesi. La fisioterapia sarà ridotta, perché nel caso di infiltrazione con collagenasi non si dovranno gestire particolari cicatrici o recuperare determinati movimenti. Gli esercizi riabilitativi sono, in prima battuta, di scorrimento tendineo, anti edema e in seguito mirati al rinforzo selettivo della muscolatura intrinseca utilizzando elastici, plastiline…».

Giulia Agresti