Dall’alleanza tra le due realtà nasce il primo laboratorio tecnologico dedicato alla continuità assistenziale per il paziente complesso.
Al suo interno il robot R1, il dispositivo Mecfes, sensori avanzati per il monitoraggio e la misurazione anche a distanza dello stato di salute dei pazienti.
Da un lato la componente clinica finalizzata alla continuità assistenziale del paziente, dall’altro la tecnologia più avanzata a sostegno dei percorsi riabilitativi.
Su questi due pilastri è nato il Joint Lab, un laboratorio congiunto dedicato alla riabilitazione che vede protagonisti la Fondazione Don Gnocchi e l’Istituto Italiano di Tecnologia.
La struttura, situata all’interno dell’Irccs Santa Maria Nascente di Milano e presentata a metà luglio, ha l’obiettivo di sviluppare soluzioni efficaci per il miglioramento dei pazienti complessi e cronici e delle loro famiglie.
Un gioco di squadra tra due istituzioni leader dei rispettivi settori iniziato circa tre anni fa per mettere in campo nuovi processi di innovazione in sanità che coinvolgano più professionisti, uniti per migliorare le performance del malato.
«Pochi posti al mondo mettono insieme figure diverse come medici, chimici, fisici, nanotecnologi», afferma Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia, «che si confrontano tra loro, offrendo così il proprio contributo per un obiettivo comune».
«Con questa iniziativa vogliamo arrivare ai pazienti», dichiara Furio Gramatica, responsabile Health Technology Assessment di Fondazione Don Gnocchi, «che sono i giudici insindacabili del nostro operato: se loro stanno meglio noi abbiamo successo».
Chi potrà essere curato nel Joint Lab? «Con i filoni che abbiamo lanciato intercetteremo pazienti dalla tenera età in cura presso la Neuropsichiatria Infantile», spiega Gramatica, «fino ad adulti post ictus e post riabilitazione traumatica che necessitano di esoscheletri. Infine, abbiamo pensato a tutti coloro che, tornando a casa, hanno bisogno di tecnologie e sensori che permettano loro di vivere in modo autonomo, mantenendo la continuità di cura».
L’assistenza si muove fino a casa
La collaborazione tra la Fondazione Don Gnocchi e l’IIT consentirà di gestire su larga scala applicazioni innovative e vedrà attività di co-sviluppo, ottimizzazione e test clinici di diversi dispositivi. Tra questi il Mecfes, i sensori avanzati per rilevamento e monitoraggio dello stato del paziente, compresi quelli del Carelab, il laboratorio high-tech di Neuropsichiatria Infantile, e la robotica riabilitativa indossabile e fissa (come la piattaforma Hunova, ideata all’Istituto Italiano di Tecnologia e già commercializzata dalla startup IIT Movendo Technology), ma soprattutto il robot R1, sempre dell’IIT. Si tratta di una speciale piattaforma pensata come un robot generico che verrà testato all’interno del Lab per svolgere compiti in diversi ambiti. Dotato di meccanica sofisticata, sensoristica e intelligenza artificiale, e tra i meno costosi e più versatili nel panorama internazionale, R1 entrerà nelle case come dispositivo assistivo-riabilitativo, mentre nelle palestre verrà impiegato per integrare i trattamenti più tradizionali.
«Oggi la tecnologia permette di aumentare la vicinanza al paziente e potenziare le capacità dell’operatore clinico», dice Gramatica, «mettendo realmente al centro del percorso di cura il paziente e la sua famiglia, migliorando e semplificando le sue attività quotidiane e i risultati riabilitativi».
Con Mecfes una nuova autonomia funzionale
La stimolazione elettrica funzionale (fes) è uno degli ausili adottati a scopo riabilitativo per il recupero dei pazienti colpiti da lesioni del sistema nervoso centrale (ictus nel caso del cervello o traumi spinali nel caso della colonna vertebrale).
In queste patologie la produzione o la conduzione di impulsi elettrici per l’attivazione di alcuni muscoli scheletrici (per esempio, i movimenti di mano, gamba e piede) risulta danneggiata e insufficiente.
Per contrastare questi infortuni, che nel 60% dei casi riguardano giovani tra i 16 e i 30 anni e che prevedono la non autosufficienza a vita, la fes si sostituisce all’impulso nervoso centrale per innescare un movimento e ottenere una buona attività muscolare e funzionale.
La stimolazione è ottenuta tramite un dispositivo esterno comandato dalla parte efficiente del corpo, che somministra impulsi elettrici al muscolo danneggiato per provocarne la contrazione e quindi il movimento, ma in modo non naturale in termini di gradualità e forza esercitata. Mecfes offre invece il controllo diretto e naturale della forza di presa, senza necessità di un interruttore esterno, ma con un’attivazione spontanea e una modulazione della forza esercitata direttamente dal paziente.
«Concepito, brevettato e clinicamente sperimentato in Fondazione Don Gnocchi», spiega Gramatica, «il dispositivo legge da sopra la pelle, con elettrodi di superficie, il segnale nervoso residuo e insufficiente e lo amplifica e restituisce, sempre in modo non invasivo, ai muscoli da attivare».
Il paziente neuroleso può così recuperare un elevato grado di autonomia e compiere gesti del tutto naturali, come afferrare una bottiglia pesante, una penna per scrivere o stringere delicatamente un bicchierino di carta.
«Il nostro ruolo», specifica Cingolani, «sarà ottimizzare e ingegnerizzare il dispositivo per conferirgli una più elevata usabilità dal punto di vista ergonomico e di design e mettere a punto il trasferimento tecnologico per la produzione in serie e la distribuzione agli utenti finali».
Lo studio dei sensori smart
La diffusione di strumenti computerizzati e interconnessi, unita alla relativa diminuzione dei costi e delle dimensioni, ha interessato anche l’ambito della riabilitazione.
Si aprono dunque nuove prospettive per quanto riguarda la misurazione e la trasmissione delle informazioni del paziente e il monitoraggio dei progressi, nell’ottica della medicina personalizzata e della continuità di cura.
Nell’ambito del Lab è stata proposta la tematica dello smart sensing per mettere a punto soluzioni tecnologiche che possano rilevare, in maniera quantitativa e interagendo in modo naturale con il paziente, informazioni legate al percorso riabilitativo, sia all’interno di laboratori attrezzati sia a domicilio.
Proprio tra le mura domestiche si concentrerà gran parte degli sforzi clinici e riabilitativi. Le prime applicazioni che verranno studiate saranno:
sensori miniaturizzati per il rilevamento del movimento, della forza di altre grandezze fisiologiche di interesse;
sensori per rilevare la posizione del soggetto e/o dei suoi segmenti corporei in modalità markerless (senza cioè indossare dispositivi), nell’ottica soprattutto di applicazioni del Carelab dedicato ai bambini;
soluzioni per l’interazione del soggetto tramite segnali acustici (voce, contatto col pavimento o con oggetti), rilevanti per quanto riguarda gli aspetti cognitivi e di relazione;
soluzioni per il rilevamento della pressione a terra del soggetto (utili soprattutto per i bambini), tramite solette sensorizzate da inserire nella scarpa, strumentazione di porzioni del pavimento del laboratorio per rilevare pressione esercitata e posizione dove si è verificato il contatto;
lo scenario tra invecchiamento e disabilità.
A fare da sfondo all’avvio del progetto e alla diffusione della tecnologia in ambito riabilitativo c’è il progressivo invecchiamento della popolazione europea: nel 2060 un terzo dei cittadini avrà più di 65 anni, contro l’attuale 18%.
Proprio la riabilitazione, intesa come allungamento della vita delle persone in stato di disabilità, è stato identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno degli obiettivi per il 2030.
«Tra quelli a breve-medio termine (2014-2021)», spiega Paolo Mocarelli, direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, «figurano il miglioramento della tecnologia assistenziale e della raccolta dati e l’implementazione dei servizi per riabilitazione e disabilità».
Dai dati Istat del 2013 emerge come circa 3,5 milioni di italiani abbiano una disabilità da più di 6 anni: a più di 70 anni il 10% dei soggetti, a più di 80 anni il 43%.
«A fronte della presenza di un milione di caregiver», prosegue Mocarelli, «solo il 4% può accedere a servizi di assistenza domiciliare integrata (Adi)»
«In questo quadro», conclude Cingolani, «i robot saranno una tecnologia indispensabile e l’accordo con la Fondazione Don Gnocchi rientra proprio nella strategia di sviluppare tecnologie avanzate a sostegno dei percorsi riabilitativi».
Lorenzo Dardano